Il Premio Gentile e il caso Cancellieri

Dopo una settimana un po' carogna, dedicata al monitoraggio delle nefandezze manifeste e recondite di questa amministrazione comunale, è giunto il momento di tirare il fiato, affrontando un argomento più leggero e mondano ma di sicura presa, perchè capace di restituire l'ennesima prova del distacco che si sta consumando tra questa città e gli elementi residuali della sua classe dirigente. Stamattina, presso l’Oratorio della Carità, si è infatti tenuta la cerimonia conclusiva del Premio Gentile da Fabriano. La manifestazione, giunta alla sua diciassettesima edizione, è stata accompagnata da una puntuale e severa staffilata consegnata alla stampa dall’avvocato Enrico Carmenati – ex consigliere comunale e candidato sindaco nel 2007 – in merito alla singolare decisione, adottata dalla Giuria del Premio, di premiare il Ministro di Grazia e Giustizia Anna Maria Cancellieri. Secondo Carmenati l'unico modo per decifrare questa decisione è quello di ricorrere alla categoria psicoanalitica dell'autolesionismo masochista perché, a suo dire, soltanto una comunità eccitata dal proprio dolore può scegliere di consegnare una targa al Ministro che ha rifiutato qualunque ipotesi e qualsiasi mediazione finalizzata al salvataggio del Tribunale di Fabriano. Su questo tema – a parte qualche voce isolata come quella del sottoscritto da sempre favorevole alla chiusura – c'è da dire che la città si è quasi unanimemente schierata a difesa del Tribunale, convinta che il taglio di strutture e di apparati burocratici, presenti in città, costituisca un certificato di definitiva decadenza del territorio. Questa è la natura dei pensieri e delle opinioni prevalenti in città in merito alla chiusura del Tribunale e con la realtà dei fatti, come tutti sanno bene, è inutile polemizzare e assai più ragionevole venire a patti. Ciò significa che la contraddizione rilevata da Carmenati non solo è fondata ma anche suffragata dall’opinione prevalente tra fabrianesi. Di fronte a questi inoppugnabili indirizzi popolari per quale ragione si è deciso di premiare comunque la Cancellieri, senza considerare l’inopportunità politica e la possibilità che qualcuno sollevasse pubblicamente la questione? Si tratta di una leggerezza della giuria, di una forzatura meditata o di una provocazione da rivendicare ricorrendo retoricamente al mito dell'autonomia della cultura e dei premi? Personalmente propendo per un’altra spiegazione, che non contempla né la superficialità né il dolo. L'ipotesi più plausibile, a mio avviso, è che tutto derivi dall’evidente inesistenza di affinità elettive tra il Premio e la città. Una lontananza che rende artificiale un Premio di cui non si comprende il nesso culturale e accademico. Così come sfugge il genius loci per il quale Fabriano sarebbe legittimata a premiare e dare lustro aggiuntivo a figure eminenti ma di eclettica provenienza e a farlosenza un chiaro e distinto filo conduttore che possa chiarire una trasversalità che va dal Ministro al regista passando per l’imprenditore più in voga del momento. Ed è forse proprio questa sovrapposizione casuale e senza pathos tra premio e città di Fabriano che spiega il deficit di connessione e di empatia che ha consentito alla Giuria di commettere una gaffe di dimensioni surreali, consentendo all’avvocato Carmenati di farsi portavoce di un comune sentire. In realtà non trattasi di masochismo ma di evidente distacco; non è cupio dissolvi ma autoreferenzialità spinta di una manifestazione che di fabrianese ha soltanto il rimando a Gentile, il patrocinio del Comune e la location dell'evento conclusivo. Pensato e confermato così come è ora - e come la gaffe Cancellieri ha nitidamente evidenziato - il Premio rischia di essere un evento a minimo valore aggiunto e senza alcun impatto sulla vita e la cultura della comunità. E forse sarebbe davvero il caso di cambiarne indirizzi e natura, trasformandolo in un premio dedicato alla pittura, spogliandolo dal vestito di Arlecchino che fa sì che tutto sia degno di premio e dove a forza di premiare si finisce sempre per inciampare e farsi male.