31 gennaio 2014

Il Rettangolo del Caos e il Vigile Urbano che non c'è


 

Oggi è il compleanno di Giancarlo Sagramola, a cui i Bicarbonati fanno i migliori auguri sperando in futuri festeggiamenti senza fascia tricolore. E siccome la bontà e il senso della festa non ci difettano, lo lasciamo tranquillo a stappare prosecchi e spegnere candeline, con la promessa di riprendere, quanto prima, a rampognarlo per i fatti e i misfatti dell'amministrazione comunale. Nel frattempo, però, siamo anche bene attenti a non abbassare troppo la guardia, perchè il caso Indesit e la telenovela Ardo - ritornati prepotentemente in auge in questi giorni - sono coperte caldissime e avvolgenti sotto le quali rifugiarsi quando c'è da mietere decisioni discrete e schermi protettitivi adattissimi al magheggio low profile. Ragion per cui ci dispiacerebbe assai se un focus mediatico tutto incentrato sulla crisi industriale del territorio facesse sentire i Gianca Boys libera di brigare e ballare come fa il topo quando il gatto s'allontana. E tanto per restare a macchina calda ci regaliamo un antipastino di mala gestio che riguarda la viabilità cittadina e di cui sono, ogni giorno involontario testimone. Per una volta affrontiamo la questione della viabilità non per come impatta nel centro storico ma per quanto accade oltre i confini dell'anello. L'oggetto di questa riflessione riguarda il Rettangolo del Caos, ossia quello spazio angusto e congestionato - delimitato da Via Veneto, Via Don Riganelli, Via Don Minzoni e Via Don Petruio -  in cui convergono tre scuole: l'Istituto Tecnico Industriale, la Media Fermi - Gentile e la Media Giovanni Paolo II. Parliamo quindi di uno spazio, in cui si muovono centinaia di ragazze e ragazze, che tra le una e le una e venti somiglia più al parcheggio dello Stadio Olimpico dopo il derby tra Roma e Lazio che a una zona di transito in una piccola città di provincia: macchine parcheggiate fino sopra i marciapiedi, circolazione stradale intasata da sensi unici tanto disagevoli quanto inutili e linee di sbocco su via Dante e Via La Spina bloccate da code bibliche e da una segnaletica che non facilita il deflusso. Oggi sono giunto in prossimità della scuola Giovanni Paolo II alle 13.03 e grazie all'imbottigliamento quotidiano di tutte le strade adiacenti sono riuscito a raggiungere Via Aldo Moro - accalorante e davvero poro orante - alle ore 13.26, ovvero il tempo necessario, in una giornata di traffico non intenso, a percorrere il tratto compreso tra Fabriano e Gualdo Tadino. La cosa impressionante, in questo frangente di follia diurna che si ripete sei giorni su sette, non è solo il perfido gioco di sensi unici che trasforma quattro strade incrociate in un rebus senza soluzione di macchine immobili e sbuffanti, ma la rumorosa e clamorosa assenza dei Vigili Urbani. Di loro ho intravisto appena un'auto parcheggiata in Piazza Rosselli ma non c'erano tracce  visibili. Ad esempio nel punto in cui via Don Riganelli incrocia Via Dante, che è il principale nodo critico, o dove via Veneto si immette sul Piazzale Salvo D'Acquisto (avanti all'ITIS per intenderci). Fatti due conti, in termini di concentrazione di plessi scolastici e di popolazione scolastica coinvolta, il Rettangolo del Caos, a ora di pranzo, è una delle zone della città in cui la viabilità presenta il massimo livello di criticità e di disorganizzazione. E siccome ci sono circa una trentina di Vigili Urbani, in forza al Municipio di Fabriano, viene naturale chiedersi perchè sia così anomalo e raro imbattersi in qualche rappresentante della Polizia Municipale intento a manovrare una paletta o a far roteare un braccio per accelerare il passaggio di qualche autista imbambolato o lumacone laddove il traffico diventa un problema. Non essendo un esperto di viabilità non mi azzardo a ipotizzare soluzioni ma mi limito a invitare il Comandante Strippoli e l'assessore Galli a sostare in macchina verso le 13.15 giusto all'altezza dell'autoscuola Lenci. Giusto per vedere e sapere che effetto gli fa.
    

30 gennaio 2014

Merloni, mezzelune e dragoni



CINA E TURCHIA, RELAZIONI IN CRESCITA 
Il Presidente e Amministratore Delegato di Indesit Milani ha dichiarato che il gruppo fabrianese adesso sta in piedi con le sue gambe. In realtà, oltre che con le sue gambe, si regge anche e soprattutto grazie al corposo sostegno degli ammortizzatori sociali, ovvero attraverso una sistematica “socializzazione” dei limiti gestionali e dei deficit di redditività. Ma la serenità industriale evocata dal Presidente Milani non sembra trovare conferma nella saga dei Merloni che ieri si è arricchita di nuovi colpi di scena, a partire dalle dimissioni di Andrea Merloni dalla presidenza della Fineldo, la holding di famiglia che controlla Indesit; dimissioni, che abbinate alla nomina di Aristide Merloni a tutore del padre Vittorio, probabilmente rappresentano una sorta di via libera definitivo, un’accelerazione in direzione della partnership con un grande player internazionale di cui si parla ormai a ruota libera, perché Andrea Merloni, diversamente dagli altri fratelli, aveva cercato di imporre un punto di vista legato all’autosufficienza industriale del gruppo e a una perplessità di fondo rispetto alla necessità di alleanze strategiche. Va quindi collocata in questo quadro, ormai sostanzialmente delineato, la dichiarazione di Francesco Merloni a sostegno di un grande accordo internazionale. Posizione, quella del patriarca della Ariston Thermo Group, che, a leggere quanto riportato nel suo blog dal giornalista del Sole 24 Ore Andrea Scarci (Scarci post su dimissioni Andrea Merloni) pare abbia profondamente irritato l’ex Presidente di Indesit, al punto di spingerlo a pronunciare – sempre che la cosa non venga smentita - una frase di inusitata e sfrontata durezza nei confronti dello zio. Si tratta di bradisismi familiari sempre difficili da interpretare, anche perché a partire dal 4 giugno – data di presentazione del Piano di Salvaguardia e di ristrutturazione – la famiglia Merloni si è guardata bene dal proferire parola su quanto stava accadendo all’azienda, fatta eccezione per il noto intervento di Francesca Merloni in cui dichiarava il suo “non ci sto” e per il comunicato stampa del luglio scorso in cui Antonella Merloni confermava che “l'attenzione da parte della famiglia Merloni ai territori dove Indesit opera é, come da tradizione, altissima”. Resta il fatto che l’operazione alleanza non appare indolore anche se prosegue senza sosta il toto partner. Stamattina su Milano Finanza, Laura Bonadies prova a sfogliare nuovamente la margherita dando in calo le quotazioni della tedesca Bosch – per problemi di antitrust ma non solo – e della Whirlpool. Resterebbero in lizza Arcelik, Haier, Midea ed Electrolux, anche se è difficile immaginare un reale interesse di quest’ultima, alle prese con un pesantissimo piano di ristrutturazione che coinvolge proprio i suoi stabilimenti italiani. Ma un dato è certo ed è giusto farsene una ragione: chiunque sia il partner possibile o probabile di Indesit farà il mazzo a Fabriano che è difficile immaginare al centro dei piani di una qualsiasi multinazionale globale. E, culo per culo, non è neanche detto che un pastore tedesco sia più delicato d’una mezzaluna turca o di un dragone cinese.
    

29 gennaio 2014

La Indesit in abito da sposa



grande immagine 1 Abito da Sposa a Spiaggia Semplice A-Line senza spalline Formale 
L’accordo firmato ieri al Ministero delle Attività Produttive tra Indesit e organizzazioni sindacali presenta numeri da capogiro: 1.783 operai in cassa integrazione straordinaria per due anni per ristrutturazione (di cui 595 ad Albacina e 288 a Melano) e contratti di solidarietà per altri 847 dipendenti non di produzione del gruppo. Sono numeri da capogiro perché confermano sostanzialmente due cose: che esiste un problema reale di competitività industriale della Indesit - che rende necessarie cure da cavallo per recuperare margini di redditività sufficienti - e che il numero degli esuberi, annunciato a giugno del 2013, resta intatto nella sua feroce entità iniziale, seppur addolcito negli effetti sul lavoro da un ricorso quasi plenario agli ammortizzatori sociali. Tra l'altro è probabile che la formula di applicazione della cassa integrazione preveda la chiusura integrale degli impianti nei giorni che verranno concordati tra le parti sociali - lo stabilimento di Melano verrà probabilmente chiuso per sessanta giorni e quello di Albacina per ottanta - con un simbolismo prepotente che restituirà con la forza di un fermo immagine un panorama desolante di impianti fermi e di lavoro consumato. La sensazione è quella di un applicativo dell'accordo da cui emerge un profondo ridimensionamento del fattore lavoro, evidentemente sovradimensionato rispetto alle attuali esigenze dell’azienda. Ma la fotografia di una difficoltà reale e purtroppo sottaciuta nelle sue linee generali non è sufficiente a chiudere il cerchio ed è probabile e plausibile che questa cura dimagrante sia anche un modo per consentire alla Indesit di indossare comodamente l’abito da sposa in vista dell’imminente matrimonio con un partner globale. Un accordo autorevolmente auspicato e rilanciato, proprio sui quotidiani di oggi, anche da Francesco Merloni – patriarca della dinastia ed ex titolare di una quota azionaria Indesit a quanto pare trasferita a una delle figlie - che ha evidenziato come sia difficile per Indesit continuare ad operare da sola in un mercato che premia soltanto gli attori dimensionalmente adeguati agli attuali livelli di competizione globale. Quel che è certo è che pare tramontare l’ipotesi Bosch, perché una partnership strategica, come ha ricordato l'amministratore delegato Italia del gruppo tedesco, determinerebbe la formazione di una quota di mercato incompatibile con gli orientamenti europei in materia di concentrazione e di Antitrust. Di certo se la vertenza Indesit non è riuscita a imporsi a livello mediatico, ha comunque rappresentato un punto di riferimento, in termini di exit strategy, per gli altri gruppi del bianco. Il Piano Electrolux – al di là del tentativo oramai fallito della Confindustria FVG di sperimentare ipotesi di taglio del costo del lavoro per via contrattuale e di partecipazione alla tedesca dei lavoratori agli utili d’impresa – somiglia come una goccia d’acqua al Piano di Salvaguardia presentato la scorsa primavera dalla Indesit. Segno che la multinazionale fabrianese ha fatto scuola in termini di efficacia e di gestione del conflitto sociale. E anche le dinamiche di reazione e contestazione sembrano esattamente quelle che hanno segnato i primi istanti della vertenza Indesit: reazione dura dei sindacati, assemblee, scioperi spontanei dei lavoratori. Il seguito lo conosciamo bene: si urla e si strepita ma poi si torna esattamente al punto di partenza, ovvero alla necessitàò di un accorso, perché un problema di tutela del lavoro reale e di di competitività industriale in questo Paese c’è. E forse è il caso di mettersi a studiare e a riflettere sul modello tedesco di cogestione, perché lo schema dei sacrifici da sostenere non può riguardare soltanto i lavoratori e lo Stato ma anche le imprese che devono fare la loro parte senza trasformare il costo del lavoro in una clava o in un arma di ricatto. Di fatto o c’è una concertazione triangolare, capace anche di agganciare parte della remunerazione dei lavoratori agli utili d’impresa, o il finale è quello classico degli ammortizzatori sociali che anticipano e preparano la chiusura degli impianti. I lavoratori fabrianesi della Indesit, da questo punto di vista, non possono pensare neanche per un istante di aver confermato, per via referendaria, un accordo che li mette al riparo dai rischi del futuro perché è il settore del bianco nella sua interezza ad incartarsi in un futuro a tinte fosche. E alal luce di quanto sta accadendo sarebbe davvero il caso di rimettere il famoso striscione al suo posto, sul balcone di Palazzo Chiavelli. Come monito a a non abbassare la guardia e come stimolo a una vera ed efficace “memoria del futuro”.

Bicarbonati è su Twitter https://twitter.com/Bicarbonati e su Facebook  www.facebook.com/Bicarbonati
    

28 gennaio 2014

L'effervescenza friulana e le camomille fabrianesi

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1BwAsyWitufDgLt4ziHuoV52Vv2P_9Znp9FfVj4Qdkb2DFrEDr3-GASbHlVoQKxkX-Gr546H_ouccdiYAJKhpuOcSpF9P6GscgVve4EWz_QWVJQaSE56M-brN6nbeqR_RnA4rxIi09Uw/s1600/electrolux-logo-thinking_we.jpg 
Il caso Electrolux occupa da qualche giorno le prime pagine dei giornali e le aperture dei principali notiziari radiofonici e televisivi. E' come se il sistema Paese fosse stato spinto lungo una linea di confine per prendere atto, quasi coattivamente, di un quadro di deindustrializzazione che miete e screma proprio i settori in cui era più forte e radicata la cultura del Made in Italy. Un gruppo di teste d'uovo, animate da Confindustria FVG, ha messo sul piatto una proposta indecente: un taglio dei premi di produzione e dei contratti integrativi aziendali in cambio di un impegno della multinazionale svedese del bianco a mantenere in Italia la propria localizzazione produttiva. Le reazioni sono state molte e molto accalorate, specie sul versante sindacale, ed è probabile che la proposta lanciata da Confindustria resti soltanto un'esercitazione previsionale da centro studi. Ma un dato è certo e cioè che il Paese e le parti sociali si ritrovano, volenti o nolenti, a discutere di un tema fondamentale per il futuro e cioè se sia ancora possibile fermare l'emorragia produttiva italiana ricorrendo non all'ennesima norma di salvataggio di produzioni fittizie in stile Ardo, ma alla contrattazione territoriale e al libero confronto tra i diversi soggetti sociali coinvolti e gli stakeholders interessati. Ma al di là degli aspetti di merito c’è anche un elemento che ci colpisce nel profondo come fabrianesi e come cittadini protagonisti della vita economica e sociale di uno dei principali distretti metalmeccanici e del bianco e cioè il non essere mai riusciti  - neanche in concomitanza con la vertenza Indesit – a tematizzare questi argomenti strategici e a fare di Fabriano e delle Marche un laboratorio di innovazione contrattuale e di sperimentazione sociale. La vertenza Indesit, come già accaduto durante la crisi della Ardo, è rimasta invece confinata in uno spazio mediatico minore, dove nessuno dei soggetti coinvolti è riuscito, anche solo per un istante, a spostare il terreno del confronto su un livello più alto e capace di diventare buona prassi per l’intero Paese. Di fatto uno sciopero allo stabilimento di Porcia conquista l’apertura dei telegiornali nazionali mentre uno sciopero a Melano faticava enormemente a imporsi anche in un semplice notiziario regionale. E questi lampanti contrasti di presa mediatica non sono soltanto elementi riconducibili a culture del conflitto che differenziano profondamente le diverse zone del Paese, ma diventano esperienze capaci di produrre esiti e risultati divergenti perché tutto ciò che non è oggetto di comunicazione di fatto non esiste, non coinvolge e non produce decisioni e assunzioni di responsabilità. E allora accade che in Friuli il Governatore - sul caso Electrolux – attacca direttamente il Ministro delle Attività produttive, generando un caso politico che tiene desta l’attenzione anche sul versante sociale, mentre da noi il Presidente della Regione Marche si è limitato a invocarlo il Ministro e a proporre una Piattaforma logistica di ricerca che era soltanto un modo per spostare il focus dalla imminente chiusura dello stabilimento di Melano. La crisi Ardo è stata la più grave crisi industriale italiana dopo quella di Alitalia del 2008, ma l’opinione pubblica non se ne è accorta e non se ne sono accorti neanche i fabrianesi, che hanno visto centinaia e centinaia di operai dissolversi tra le maglie assistenziali della cassa integrazione oppure a rincorrere i sogni di gloria produttiva di un imprenditore accorto che ha fatto il passo più lungo della gamba certo di poter contare su qualche nuovo capitolo di assistenzialismo pubblico. E ogni volta che si verificano situazioni come quella che vede protagonista la Electrolux, si alimentano automatiche comparazioni. E viene da pensare come la sventura di Fabriano non sia stata soltanto quella di un distretto anomalo - governato da una monarchia familiare assenteista, invece che da una rete paritaria di imprese dimensionalmente non sbilanciate - ma un sedimento di cultura, una timidezza atavica, un servilismo grigiastro che ci ha impedito, non dico di lottare ma di rappresentare degnamente il declino di un’economia locale e farne oggetto di indagine sociale e di interessamento politico. Ben ci sta.

    

25 gennaio 2014

Caso Ardo: un Lodolini senza lode

Ormai siamo di fronte a un'azione pressochè quotidiana, dei decisori politici locali, alla ricerca di interventi legislativi finalizzati a manomettere la sentenza del Tribunale di Ancona che ha annullato la vendita di Ardo a Jp Industries. Sembra quasi che l'unico problema industriale e occupazionale del nostro territorio sia tenere in piedi Porcarelli a tutti i costi, a prescindere dai contenuti industriali del suo progetto e dalla competività reale che JP è in grado di esprimere nel mercato degli elettrodomestici. Eppure siamo di fronte a uno stillicidio quotidiano di chiusure, di mobilità e di attività produttive in crisi, come hanno giustamente ricordato, proprio in questi giorni, le associazioni di categoria dell'artigianato. Ultima in ordine di tempo la CB di Cerreto d'Esi che ha messo in mobilità settanta lavoratori, senza che attorno alle ragioni e agli effetti di questa carneficina occupazionale si coagulasse soltanto un millesimo dell'interesse che invece si condensa attorno al destino della JP. E' di questi giorni la notizia che tre parlamentari del Pd hanno proposto un emendamento al Decreto Destinazione Italia per togliere dalla normativa che regola le procedure di amministrazione straordinaria  delle grandi imprese in stato di insolvenza qualsiasi riferimento al prezzo di vendita delle aziende in esercizio. Ciò significa che per tenere in piedi JP si sacrifica la funzione di garanzia rappresentata dalla valutazione terza degli esperti incaricati di determinare il valore dei beni alienati e qualsiasi considerazione relativa all'impatto sul prezzo di vendita della redditività, a vantaggio della prevalenza dei ricavi, ossia di una voce che notoriamente descrive solo in parte lo stato di salute di un'impresa e della sua operatività. L'intervento dei parlamentari del Pd viene giustificato ricorrendo alle esigenze di tutela dei settecento lavoratori coinvolti. Ma, ad onor del vero, va anche ricordato che stiamo parlando di lavoratori utilizzati raramente e a singhiozzo in una produzione che non sembra minimamente commisurata alla dimensione dell'operazione di acquisto della ex Ardo da parte della JP. La discussione in corso avrebbe quindi bisogno di far emergere di un elemento di chiarezza, separando la tutela dei settecento lavoratori coinvolti, perseguita attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, dal destino industriale della JP, che è direttamente connesso alla competitività dell'impresa e alla sua capacità di produrre reddito e valore. Quando la ex Ardo venne ceduta alla JP si verificò, infatti, un mero trasferimento di proprietà, perchè di fatto i settecento lavoratori riassunti furono immediatamente posti in cassa integrazione. Difendere, attraverso normative ad hoc, aziende private che non presentano requisiti evidenti di autonomia e di competitività solo per garantire l'erogazione a tempo indeterminato degli ammortizzatori sociali, non è un'azione finalizzata alla difesa di un territorio e della sua coesione sociale, ma soltanto un modo per prolungarne l'agonia e per radicalizzarne le iniquità sociali. Un legislatore rigoroso dovrebbe lavorare per creare condizioni di successo ed efficienza per le imprese dei territori che rappresenta, e non certo per tenerle in piedi con la stampella pubblica e il polmone d'acciaio delle normative ad hoc e delle corsie preferenziali. In questo modo, infatti, si alterano le regole del mercato, si generano iniquità di trattamento tra i lavoratori e si avvilisce ogni speranza di un welfare orientato alla creazione di lavoro vero in aziende vere e al reinserimento lavorativo della manodopera fabrianese. Purtroppo siamo invece all'inattività come valore e a un concetto di tutela in cui si inventano i cappotti per piazzare i bottoni. E l'on Lodolini davvero non merita una lode per questo schiaffo che si propone come carezza rifilato a quelle poche aziende del territorio fabrianese che combattono per sopravvivere senza sussidi e senza paracadute.
    

24 gennaio 2014

L'Alianello censurato è mezzo salvato

Ho avuto modo di leggere la mozione di censura nei confronti dell'Assessore Alianello - corredata dalla richiesta di ritiro delle deleghe - depositata da una parte dell'opposizione, di cui si discuterà in occasione del prossimo Consiglio Comunale. Si tratta di un documento di cinque pagine, lussureggiante di dettagli e rimandi ma, nell'insieme, poco incisivo e convincente, redatto ricalcando uno stile letterario vagamente bizantino e svelando una libidine tecnico giuridica d'impronta quasi teodosiana. Un documento di cui, in tutta sincerità, si fatica a cogliere il ritmo del ragionamento e la finalità politica e che, anche per questo, doveva essere accolto dalla maggioranza, dal Sindaco e dal diretto interessato con il sospiro di sollievo che, di norma, accompagna uno scampato pericolo. Il primo cittadino ha, invece, colto l'occasione - oltre che per spendersi in una zelante ma nervosa difesa dell'assessore ai lavori pubblici - anche per scagliare un violento e pretestuoso attacco all'opposizione, il secondo in due giorni, abbandonando definitivamente il tradizionale rispetto cattolico per le minoranze, ormai rimpiazzato da un'idiosincrasia quasi da popolo viola nei confronti della loro legittima azione di critica e di opposizione. Ma quel che lascia interdetti è stata la reazione dell'Assessore Alianello che ha replicato alla mozione di censura - ovvero a un atto puramente politico - paventando addirittura la possibilità di un ricorso alla Procura della Repubblica, quasi a evocare il contenuto diffamatorio di alcuni passaggi della mozione stessa. E con questo siamo alla violazione di una delle regole non scritte della politica e cioè che ad atti politici si risponde con altri atti politici, emancipandosi, per default, da qualsiasi tentazione di dare un'impronta giudiziaria alla dialettica politica e istituzionale. La sede in cui discutere una mozione di censura non è, infatti, il Tribunale ma il Consiglio Comunale e chi decide di fare politica deve essere consapevole, in quanto figura pubblica, che non parteciperà a un ballo delle debuttanti ma a un gioco di ruolo in cui è previsto anche lo scagliare sangue e merda in un ventilatore acceso. La politica è, quindi, un'arte poco adatta ai suscettibili, così come la vita da fornaio non è indicata a chi necessita di sette guanciali o come il successo nello star system non si addice a chi detesta i paparazzi e i periodici di cronaca rosa. La sensazione è che sia Sagramola che Alianello difettino di una abilità propedeutica: saper gestire lo stress che l'esercizio della funzione pubblica e l'assedio della dialettica politica tende fisiologicamente a generare. Scarseggia quello che viene definito physique du role, ovvero l'attitudine, che non è solo fisica ma anche di mentalità, a interpretare un ruolo pubblico seguendo alcune norme e comportamenti che fanno riferimento all'universo del simbolico. La politica è, anche e soprattutto, esercizio del potere. E il potere, notoriamente, non suda e non si surriscalda perchè le opposizioni fanno quel che ci si aspetta da loro in una democrazia non demenziale, ossia togliere fama e prestigio, e quindi consenso e voti, a chi governa. Ed è anche per questo che l'asticella, oltre la quale si definisce la diffamazione di un politico, è posizionata assai più in alto di quanto si verifica se la parte lesa è un privato cittadino. La mozione di censura della minoranza, in sistesi, non è nè diffamatoria nè incisiva nè tale da motivare, anche soltanto di sfuggita, il barlume di una tentazione giudiziaria. Ed è per questo che le dimissioni dell'assessore sarebbero necessarie non per quel che egli ha fatto o non ha fatto, ma perchè non sembra in grado di governare le tensioni e lo stress ambientale che è consustaziale con la lotta politica. E un Paglialunga, a confronto, risulta quasi marmoreo nella sua testarda e silenziosa resilienza.

Bicarbonati è su Twitter https://twitter.com/Bicarbonati e su Facebook  www.facebook.com/Bicarbonati
    

22 gennaio 2014

Un Visconte Cobram in Area Vasta


 

Chi ama le avventure del Rag. Ugo Fantozzi ricorderà bene la scena della nomina del Visconte Cobram a Megadirettore, con lo svenimento, in fondo alla sala mensa, di alcuni dipendenti, istintivamente consapevoli che da quel momento avrebbero dovuto coltivare "tragicamente" una passione per il ciclismo spinta fino al culmine dell'autolesionismo. Ed è memorabile oltre che storica - quasi appaiata al grido liberatorio di Fantozzi di fronte all'ennesima proiezione della Corazzata Potemkin - la sgambatina in bici a Pinerolo proposta dal solito impiegato impiegato giusto per fare qualcosa di utile dopo la fine della giornata di lavoro. Questa sequenza di scene mi è rimbalzata in mente quando ho appreso della nomina del fabrianese Giovanni Stroppa a Direttore dell'Area Vasta 2. I concittadini, infatti, è probabile che ricordino Stroppa più come angelico come maestro di tennis che come dirigente d'enti pubblici e questo sedimento di memoria lascia presumere che il tennis possa diventare una nuova e ardente passione collettiva tra i dipendenti della sanità fabrianese, pronti a compiacere il nuovo arrivato zompettando agili e motivati tra cemento, terra battuta ed erba sintetica. E già questo è un rischio gestionale di altissimo profilo, un dato di fatto che consiglia a Stroppa di praticare, sin da subito, uno scarto di lato, promuovendo tra dirigenti, quadri e impiegati dell'Area Vasta quella passione di maratoneta che, credo, coltivi assai più intensamente del tennis. E a quel punto ci sarà davvero da ridere guardando la lingua penzoloni di quanti annegheranno nell'acido lattico pur di compiacerlo e di per tenere in caldo posizione, privilegi e seggiolini. Ma a parte queste considerazioni, che sono più di costume che di gestione, la nomina di Stroppa a Direttore dell'Area Vasta appare come una scelta discutibile per almeno tre ragioni. Inannzitutto perchè essa fa strage di quei delicati equilibri che accompagnano il funzionamento di strutture complesse come quelle che fanno riferimento alla sanità pubblica. Dopo aver scelto Fabriano come sede dell'Area Vasta 2 - suscitando le naturali ire di Ancona, Senigallia e Jesi - la nomina di un direttore fabrianese appare un atto di forza difficilmente comprensibile, perchè è evidente che tutti gli equilibri si sbilanciano su Fabriano senza una ragione plausibile che non sia il prestigio personale e politico di Spacca e la sua necessità di marcare il territorio in vista della corsa alla terza candidatura. E' chiaro che chi comanda nella sanità comanda in Regione ma questo può determinare, in prospettiva, anche un effetto boomerang per Fabriano, perchè il giorno in cui si concluderà la traiettoria politica del Governatore, è facile prevedere una "vendetta costiera" contro l'entroterra in cui non si faranno progionieri, con conseguenze facilemente prevedibili su una città e un territorio indeboliti - anche politicamente - da una crisi senza precedenti e senza evidenti vie d'uscita. Da ultimo, ma non per ultimo, è probabile l'origine fabrianese possa condizionare le scelte del Direttore Stroppa; scelte che, nel resto dell'Area Vasta, verranno sistematicamente giudicate per l'impatto, i vantaggi e le corsie preferenziali che esse potranno determinare sul territorio fabrianese. E questo è probabile che possa spingere Stroppa ad agire mantenendo una distanza marcatissima e rigorosa rispetto a qualsiasi valorizzazione degli interessi direttamente riconducibili a Fabriano e al suo territorio. Una nomina che esprime una sua logica politica ma che rischia di essere un cattivo affare per la città, a prescindere dal valore del nominato che, per dirla con Lucio Battisti, scopriremo solo vivendo.
    

21 gennaio 2014

Sosta selvaggia e selvagge multe


carro_armato_su_mercedes 

E' quasi divertente sfogliare i giornali e scoprire che il problemone fabrianese è il parcheggio selvaggio in via Cialdini. Ed è uno spasso conseguente l'apprendere che, in questa città economicamente e socialmente sbullonata, verrà attuato un ennesimo giro di vite, di quelli che si fissano per l'eternità nella memoria dei cittadini. Parte ufficialmente - capitanata dalla solerte Polizia Municipale, una sorta di localissimo Mossad del divieto di sosta - la caccia all'automobilista indisciplinato, al furbetto della seconda fila, ai forcono della fermata che diventa sosta permanente. Una campagna che non deluderà le attese di un popolo desideroso di vendette e pronto anche a fornire Polaroid dell'infrazione, anche perchè quando, con la scusa del senso civico, si possono rifilare multe e portare a casa soldi per le magre casse del Comune, state certi che l'efficienza non difetta e non attende a farsi viva. Con questo non si vuole certo ergersi a difensori della sosta selvaggia, che nasce prevalentemente da una sorta di bullismo stradale e da un'irritante variazione sul tema dell'autista "paccamuanne". Il problema è sempre a monte - secondo la sana teoria del pesce che puzza - ed è un'Amministrazione che si regge su tre azioni - esigere, riscuotere, punire - e immagina sempre il suo ruolo in termini puramente prescrittivi. Governare con la mano pesante è molto facile e dà una senszione di ribalderia gagliarda. Trovare soluzioni concertate è, invece, assai più difficile e prosaico perchè presuppone mediazione, buonsenso e creatività. Pensare di risolvere la tendenza al parcheggio selvaggio scatenando i controlli della Polizia Municipale è un gonfiare il petto alla Starace, una recita forzuta perchè tutti sanno che il sistema dei controlli sistematici e a tappeto non può durare in eterno. Ragion per cui si avrà un picco iniziale di stroncature, corrispondente alla grancassa mediatica, seguito da un fisiologico calo di tensione che poi si esaurirà fino a ristabilire l'equilibrio iniziale, con il ritorno in pompa magna della sosta selvaggia. Saremo anche ripetitivi ma l'unica soluzione possibile in una città di disocccupati dove, ormai, si passa il tempo facendo vasche e giretti in auto è quella di impedire l'accesso intra muros. Se l'accesso in Via Cialdini viene limitato ai soli residenti e ai disabili è assai probabile che ingorghi e colli di bottiglia verrebbero magicamente eliminati e risolti. In una città in cui la viabilità si struttura attorno a un anello che costeggia, a senso unico, il perimetro delle mura del centro storico  in una logica anulare già chiara e tracciata, si parcheggerebbe comodamente in Via IV Novembre, raggiungendo Via Cialdini in assai meno di cento passi. Ma per realizzare questa grande riforma a costo zero della viabilità cittadina - che diventerebbe anche riforma del profilo urbanistico di Fabriano - serve un merce che non si compra al mercato un tanto al tocco: coraggio politico e fantasia costruttiva. Invece abbiamo un'amministrazione che non fa, che quando fa dice che è stata costretta a farlo dallo Stato centrale ed è pure convinta che amministrare significhi reprimere e fare multe. Speriamo ci vada meglio al prossimo giro.
    

20 gennaio 2014

Ecco il comunicato Tares sparito!!!Buon copia e incolla a tutti!

 
Visto che le polemiche sulla Tares proseguono senza sosta, ormai da quasi due mesi, ho pensato di mettere a disposizione dei lettori di questo blog il famoso comunicato con cui, del tutto irritualmente, Sindaco, Giunta e maggioranza, davano l'opportunità - a chi si trovasse in condizioni economiche precarie - di pagare la sola quota statale, considerando validi anche i pagamenti della quota comunale pervenuti entro il 28 febbraio. Questa videata risale al 12 dicembre 2013 e, come i lettori sapranno, in una prima fase comparve sulla home page di Pizzalta.it, poi, per via del tam tam polemico, fu ricollocato in una pagina più difficile da raggiungere, per essere infine eliminato dal sito istituzionale del Comune senza spiegazioni ufficiali e trasparenti. Siccome già qualche tempo fa si erano verificate tempestive e curiose modifiche di contenuto nel sito istituzionale della Asur - che questo blog rilevò e pubblicò altrettanto tempestivamente - appena ho avuto notizia della pubblicazione di un comunicato tanto stimolante e anomalo ho pensato bene di mettere la pagina al riparo da eventuali e interessate cancellazioni che poi sono puntualmente arrivate. Diceva un vecchio proverbio di campagna - uno di quelli che piace tanto al primo cittadino - che è buona cosa non defecare sotto la neve, perchè prima o poi la neve si scioglie e i misfatti riemergono dall'oblio in perfetto stato di conservazione. Stessa cosa è accaduta con questo comunicato, fatto sparire sperando che la neve non si sciogliesse mai. Purtroppo c'è sempre un Simonetti - allevato politicamente in ambiente stalinista - consapevole che il potere non è tanto legato alle funzioni che si svolgono ma alle potenzialità di un buon archivio. E ora cari lettori buon "copia e incolla a tutti", oppure tasto destro e salva con nome!!!