L’accordo firmato ieri al
Ministero delle Attività Produttive tra Indesit e organizzazioni sindacali
presenta numeri da capogiro: 1.783 operai in cassa integrazione straordinaria
per due anni per ristrutturazione (di cui 595 ad Albacina e 288 a Melano) e
contratti di solidarietà per altri 847 dipendenti non di produzione del gruppo.
Sono numeri da capogiro perché confermano sostanzialmente due cose: che esiste un
problema reale di competitività industriale della Indesit - che rende necessarie cure da
cavallo per recuperare margini di redditività sufficienti - e che il numero degli esuberi,
annunciato a giugno del 2013, resta intatto nella sua feroce entità iniziale, seppur
addolcito negli effetti sul lavoro da un ricorso quasi plenario agli
ammortizzatori sociali. Tra l'altro è probabile che la formula di
applicazione della cassa integrazione preveda la chiusura integrale degli
impianti nei giorni che verranno concordati tra le parti sociali - lo stabilimento di Melano verrà probabilmente chiuso per sessanta
giorni e quello di Albacina per ottanta - con un simbolismo prepotente che restituirà con la forza di un fermo immagine un panorama desolante di impianti fermi e di lavoro consumato. La sensazione è quella di un applicativo dell'accordo da cui emerge un profondo ridimensionamento del fattore lavoro,
evidentemente sovradimensionato rispetto alle attuali esigenze dell’azienda.
Ma la fotografia di una difficoltà reale e purtroppo sottaciuta nelle sue linee generali non è sufficiente a chiudere il
cerchio ed è probabile e plausibile che questa cura dimagrante sia
anche un modo per consentire alla Indesit di indossare comodamente l’abito da
sposa in vista dell’imminente matrimonio con un partner globale. Un accordo autorevolmente auspicato
e rilanciato, proprio sui quotidiani di oggi, anche da Francesco Merloni –
patriarca della dinastia ed ex titolare di una quota azionaria Indesit a quanto
pare trasferita a una delle figlie - che ha evidenziato come sia difficile per
Indesit continuare ad operare da sola in un mercato che premia soltanto gli
attori dimensionalmente adeguati agli attuali livelli di competizione globale.
Quel che è certo è che pare tramontare l’ipotesi Bosch, perché una partnership
strategica, come ha ricordato l'amministratore delegato Italia del gruppo tedesco, determinerebbe la formazione di una quota di mercato
incompatibile con gli orientamenti europei in materia di concentrazione e di Antitrust.
Di certo se la vertenza Indesit non è riuscita a imporsi a livello mediatico,
ha comunque rappresentato un punto di riferimento, in termini di exit strategy,
per gli altri gruppi del bianco. Il Piano Electrolux – al di là del tentativo oramai
fallito della Confindustria FVG di sperimentare ipotesi di taglio del costo del lavoro
per via contrattuale e di partecipazione alla tedesca dei lavoratori agli utili
d’impresa – somiglia come una goccia d’acqua al Piano di Salvaguardia presentato la scorsa primavera dalla
Indesit. Segno che la multinazionale fabrianese ha fatto scuola in termini di efficacia e di gestione del conflitto sociale. E
anche le dinamiche di reazione e contestazione sembrano esattamente quelle che hanno
segnato i primi istanti della vertenza Indesit: reazione dura dei sindacati, assemblee,
scioperi spontanei dei lavoratori. Il seguito lo conosciamo bene: si urla e si
strepita ma poi si torna esattamente al punto di partenza, ovvero alla necessitàò di un accorso, perché un problema
di tutela del lavoro reale e di di competitività industriale in questo Paese c’è. E forse è il caso di mettersi a studiare
e a riflettere sul modello tedesco di cogestione, perché lo schema dei sacrifici
da sostenere non può riguardare soltanto i lavoratori e lo Stato ma anche le
imprese che devono fare la loro parte senza trasformare il costo del lavoro in una clava o in un arma di ricatto. Di fatto o c’è una concertazione triangolare, capace anche di agganciare parte
della remunerazione dei lavoratori agli utili d’impresa, o il finale è quello
classico degli ammortizzatori sociali che anticipano e preparano la chiusura
degli impianti. I lavoratori fabrianesi della Indesit, da questo punto di vista, non possono pensare neanche
per un istante di aver confermato, per via referendaria, un accordo che
li mette al riparo dai rischi del futuro perché è il settore del bianco nella sua
interezza ad incartarsi in un futuro a tinte fosche. E alal luce di quanto sta accadendo sarebbe davvero il caso di rimettere il
famoso striscione al suo posto, sul balcone di Palazzo Chiavelli. Come monito a a non abbassare la guardia e
come stimolo a una vera ed efficace “memoria del futuro”.
Bicarbonati è su Twitter https://twitter.com/Bicarbonati e su Facebook www.facebook.com/Bicarbonati
Bicarbonati è su Twitter https://twitter.com/Bicarbonati e su Facebook www.facebook.com/Bicarbonati
hai ragione. Siamo perfetti come cattivi maestri
RispondiEliminaQuesta mattina ho seguito con attenzione il programma su rai tre AGORA', si e' parlato di electrolux e del suo piano,in collegamento da roma il ministro Zanonato. Ha citato diverse volte il caso INDESIT e come il governo a suo dire ha risolto la situazione.ALL'incalzare degli ospiti in studio di come trovare una soluzione per la crisi dell'elettrodomestico in italia,senza speculare sul reddito degli operai ha risposto che lui e' solo un intermediario tra le parti,se questo e' il preludio di trovare soluzioni..........CON stima.
RispondiEliminaServono programmi, idee, iniziative. Il Governo dove accidenti sta? Il mercato del bianco e' in crisi nera. L'impresa riversa sui lavoratori il problema tagliando sul personale o addirittura vendendo allo "straniero". Lo stato strozza le aziende con una tassazione vergognosa. Gli operai rimangono senza lavoro e non comprano.
RispondiEliminaServe un intervento del governo forte, non do assistenzialismo ma di progettualità' e apertura sul futuro. Sara' una nuova era.
Ma certo che co' 'set teste.....! G.
Gl'Italiani che comprano prodotti Italiani dove sono???
EliminaSiamo sinceri con noi stessi!!!
Quello degli elettrodomestici e' un mercato di sostituzione. Dubito che serva a qualcosa il comprare italiano.
EliminaQuoto l'intervento di Miura.
EliminaPotete meglio elaborare perchè non siete d'accordo?
EliminaIn Italia si vendono circa 6,8milioni di pezzi di bianco. di cui 1,7 Indesit a fronte di una produzione in loco di 3,4milioni.
Un maggiore acquisto del 5% "quota prodotta italiana", se andasse totalmente ad Indesit, porterebbe un 10% di maggiore produzione in patria.
www.conquistedellavoro.it/cdl/it/Archivio_notizie/2013/Giugno/info-329626542.htm
Perchè le ditte non possono internazionalizzare le produzione, ma gli operai possono internazionalizzare gli acquisti??
Il mercato non ne puo' più. E' un momento di stallo. E magari bastasse comprare italiano. Ho sentito dire a mio padre una vita che lui comprava FIAT perché' era italiana....... Non basta più, il mercato e' saturo. E' ora che un'azienda possa smettere di spendere 3500 euro ad operaio e che questo ne prenda solamente 1200. Il costo del lavoro può' cambiare solamente con un'azione coraggiosa del Governo. I nostri politici devono decidere se giocare in attacco o in difesa. E pero', come ripeto, non credo proprio che siano in grado di attaccare! G.
Eliminasto guardando la gabbia su la7 guardate i sevizi e capirete come si fanno le lotte.Politici fabrianesi non valete un cazzo.
RispondiEliminaSolo i politici ?? Ed i fabrianesi ?? popolino senza palle...
Eliminafate i vostri confronti elettrolux -a merloni.loro lottano davvero,politici e sindacalisti da noi gli stessi politici e sindacalisti hanno dormito .Fate i vostri confronti.Continuate ad ascoltare questi cantastorie fabrianesi.
RispondiElimina