29 luglio 2012

Caso Ardo: gli assordanti decibel del sindacato

Sul caso Ardo sono intervenuti duramente i sindacati, con la Fim Cisl in testa, che accusano il pool di banche, che ha presentato ricorso al Tribunale di Ancona in merito alla vendita dell'ex gigante fabrianese del "bianco", di aver messo in atto una sorta di azione immorale che mette a repentaglio il futuro dei circa 700 lavoratori riassunti dalla JP Industries. Siccome i giornali locali si accodano alla doglianza senza alcun approccio critico credo valga la pena puntualizzare qualche faccenda utile a chiarire la situazione. Cosa è successo di tanto scandaloso da portare al massimo livello i decibel sindacali? Semplicemente che il Tribunale ha deciso di nominare un perito per verificare se la vendita della Ardo sia stata taroccata al ribasso e se, per caso, con questa operazione, le banche si configurino come parte lesa per un ammontare, in solido, di circa 187 milioni di euro di crediti, divenuti in un istante vera e propria carta da culo. Le banche sono imprese commerciali che ricercano un profitto attraverso il quale remunerare il capitale di rischio degli azionisti. Come da mission, normativa e statuto. Per ottenere il profitto prestano denaro a un determinato tasso di interesse. Denaro che proviene dai depositi e dagli investimenti dei risparmiatori. Cioè da roba su cui non si scherza, tanto che il sistema bancario è sottoposto a una rigida normativa oltre che alla vigilanza della Banca d'Italia. Accusare le banche, creditrici verso la Ardo per qualcosa come 360 miliardi di vecchie lire, di voler far saltare un disegno industriale e occupazionale solo perchè esercitano un diritto consentito dalla legge e inquadrato da una specifica procedura, getta una luce inquietante sul senso di responsabilità generale del sindacato. Anche perchè il sistema bancario non è soltanto popolato da squali assetati di sangue ma, principalmente, da migliaia di lavoratori che, tra l'altro, in questo periodo stanno subendo dolorosi processi di ristrutturazione. Lavoratori che magari sono iscritti al sindacato e alla Federazione dei bancari della Cisl, tanto per essere chiari. La visione confederale dovrebbe suggerire prudenza ai dirigenti locali del sindacato, perchè non si può pensare di risolvere le vertenze del comparto metalmeccanico scaricandole sulle spalle dei bancari, senza rompere quel patto di solidarietà tra categorie che dà senso e sostanza a un sindacalismo davvero fondato sulla rappresentanza e sull'armonizzazione degli interessi in gioco. Oltre a questo va anche ricordata un'altra cosa importante e cioè che il Tribunale vuole capire se la vendita della Ardo è avvenuta con l'azienda in funzionamento o in stato di blocco totale della produzione perchè ciò avrebbe comportato una valutazione diversa dei valori di vendita. In questo senso va ricordato che l'applicazione della Legge Marzano prevede che l'azienda sia in funzionamento e che sulla base di questa premessa si possano percorrere due strade: la ristrutturazione o la vendita in solido o per singoli asset. La Fim Cisl, in questo quadro, non può limitarsi a difendere la cessione in sè  della Ardo al nuovo acquirente, ma dovrebbe avere il coraggio di fare una riflessione a tutto campo su scelte che hanno determinato anche una violenta lacerazione tra i lavoratori salvati e riassunti e quelli rimasti fuori da ogni gioco. Anche perchè i 700 riassunti sono tuttora lavoratori in cassa integrazione e l'operatività della nuova azienda langue. E per sincerarsene è sufficiente uscire da Fabriano e passare avanti agli stabilimenti di Santa Maria. Inoltre se il sindacato teme così tanto il ricorso delle banche e le decisioni del Tribunale vuol dire che, implicitamente, ne riconosce la fondatezza e la concretezza. Così come credo riconosca le debolissime basi industriali dell'operazione. E visto che ci siamo sarebbe anche il caso che le confederazioni si pronunciassero su una questione di fondo fino ad ora sistematicamente rimossa e cioè se non fosse stato meglio il fallimento della Ardo, che avrebbe consentito a molte aziende dell'indotto di recuperare qualche quota di crediti invece di chiudere i battenti e mandare a casa centinaia di persone, senza che questo stillicidio di nuova disoccupazione creasse indignazione nelle organizzazioni dei lavoratori. In conclusione consiglio ai nostri sindacalisti di approfondire anche un po' di storia del sindacato, perchè si renderebbero conto che il rispetto assoluto della legalità e delle regole - anche quando a sostanziarle è un Tribunale - è la migliore garanzia per i lavoratori e per l'esercizio dei loro diritti. Tutto il resto, invece, ha il sapore della complicità e del pastrocchio. E, sinceramente, a leggere certe dichiarazioni di parte sindacale il palato non gode.

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7 commenti:

  1. una riflessione moooolto interessante Giampy

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  2. Condivido la tua analisi. Il 15 ottobre 2011 avevo scritto anch'io più o meno le stesse cose in maniera più condensata. Mi chiedo: ma non erano Cisl-Uil che erano contrari allo spezzatino? Dove sono i sindacati quando, mensilmente, le piccole aziende dell'indotto Ardo, Elica, Indesit, falliscono perchè le società madri non rinnovano i contratti ai terzisti o li obbligano a diventare fornitori di semilavorato con obbligo di acquisto della materia prima. Questo è un grave problema che molti non considerano. Il fallimento di queste piccole imprese mettono in difficoltà anche altre società che invece producono. E' il nostro caso. Spesso abbiamo dovuto rallentare, frenare e per fortuna raramente, sospendere la produzione (con portafoglio ordini pieno), perchè nostre aziende terziste, che erano anche terziste delle società sopra citate, sono fallite perchè il cliente principale non gli dava più lavoro. In alcuni casi (tre) siamo anche intervenuti in aiuto di queste piccole imprese,con pagamenti anticipati delle forniture, acquisti di materie prime per loro conto in quanto i fornitori, non fidandosi, non gli consegnavano più le merci. Ma è un tentativo che non può andare avanti per le lunghe perchè, quando vediamo che non c'è la solidarietà e responsabilità sociale da parte delle società più grandi, noi cerchiamo il fornitore alternativo e siamo costretti a lasciare al proprio destino l'impresa in difficoltà. Ma i sindacati non sono mai intervenuti in questo tipo di sciacallaggio industriale.
    Maurizio Corte

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    1. Il problema dell'indotto debole si supera solo se le aziende dell'indotto iniziano a mettersi insieme. Sei obbligato a comprare la materia prima dal tuo cliente, perché se vai dal fornitore prima ti ride in faccia, poi ti chiede pagamento cash anticipato. Ma se dal fornitore ci vai rappresentando 5,10 aziende vedrai che la musica cambia. Sono anni che le rappresentanti di categoria degli imprenditori parlano di rete. E appunto parlano...
      Se ti metti insieme per acquistare la materia prima, vedi che poi diventa facile proseguire che so, per acquistare i servizi telefonici e poi magari per dotarti di un ufficio commerciale "condiviso" per iniziare a passare le maledette gallerie che ci separano dal resto del mondo.
      Se fossi un'azienda che ha questo tipo di fornitori, dopo averle salvate con soluzioni tampone (tipo anticipo delle forniture), li metterei intorno ad un tavolo per iniziare un vero progetto di rete tra aziende. Oggi è l'unico modo per salvarle. Come dice il proverbio cinese, "se dai un pesce ad un uomo lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita".
      Chiaramente non è facile. Nella mia esperienza quotidiana posso testimoniare come ancora tra questi piccoli terzisti viga più il "mors tua vita mea", che la consapevolezza di mettersi insieme e remare tutti dalla stessa parte. Accettare le peggiori condizioni "imposte dai grandi gruppi" (che attenzione, fanno il loro mestiere come le banche citate da Simonetti nel post), diventa quindi il modo per sopravvivere un giorno in più dell'altro terzista.

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    2. Quello che dici sarebbe un grande passo avanti anche sotto il profilo della cultura locale d'impresa perché l'idea di lavorare in rete è quanto di più estraneo alla nostra storia. Ma è l'unica strada possibile perchè ormai nessuno si salva da solo. Temo però che per maturare questa consapevolezza ci voglia del tempo. Un tempo che è diventato la vera risorsa scarsa con cui fare i conti. le associazioni imprenditoriali e di categoria oltre che garantire la rappresentanza degli interessi dovrebbero attivare anche un'azione "pedagogica" sugli associati convincendoli dei vantaggi della rete e delle opportunità del lavoro cooperativo, magari sperimentando anche nuove forme associative specie sul versante dei servizi avanzati che magari la piccola impresa singolarmente non può permettersi.

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  3. 700 lavoratori, sono stati "salvati"...ma per quanto ancora?
    possibile che solo Porcarelli sia riuscito a trovare la "quadra"???...il resto del mondo, è popolato da sprovveduti che non hanno visto il potenziale?
    sarò cinico, ma sta vicenda puzza in modo talmente plateale che quasi non ci si fa più caso.

    l'indotto è figlio di nessuno...
    ________________
    G.R.

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    1. Caro mio....a me inquieta che a difendere un'operazione bislacca siano sempre in prima linea i sindacati. Lo considero il tradimento supremo perpetrato ai danni dei lavoratori. Specie dei 1300 lasciati fuori con criteri opinabili. Secondo me alla fine la tutela è solo legata alla durata della cassa integrazione. I riassunti la faranno più lunga degli altri. Secondo me Di Vittorio e Pastore si rigirano nella tomba di fronte alle parole dei loro pronipotini

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  4. Ma Spacca con tutti i viaggi in Cina non ha trovayo nessuno pronto a rilevare l'azienda? E gli iraniani?

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