Il caso Paglialunga avrà pure eroso a fondo la credibilità e il potenziale politico dell’assessore al commercio, ma la personalizzazione delle colpe non rappresenta di certo un’uscita di sicurezza né per il Sindaco – che con la nomina degli assessori attiva una cessione temporanea, reversibile e fiduciaria delle competenze assommate nella sua figura presidenziale - né per la Giunta, che essendo giuridicamente organo del Comune, assieme a Consiglio comunale e primo cittadino, va monitorata e giudicata in solido e non per il tramite del singolo componente. Il caso Paglialunga non è, insomma, un capitolo ad personam ma una crisi politica di Giunta di cui dovrebbe essere investito il Consiglio Comunale. E' invece prevalsa la gestione privatistica, in cui il cerchiobottismo delle riunioni notturne e del sinedrio di maggioranza s'impone sulla centralità delle istituzioni e della pubblica discussione. E, come lumaca dopo il temporale estivo, è subito uscito allo scoperto il candidato renziano Michele Crocetti che, per restare rottamatore e cantore della politica bella e gentile, non poteva baciare il rospo subendo un’operazione di berlusconismo contraffatto e in do minore. La dea bendata gli ha messo in mano il biglietto vincente e per passare all’incasso il giovane candidato si farà, inevitabilmente, catalizzatore di un dissenso della base democratica contro sindaco e consiglieri che hanno sostenuto il giudizio sospensivo su Paglialunga. Altrimenti, se non cavalca l’onda, la segreteria se la sogna e la cede in comodato a Monacelli. Domenica si terrà il Congresso del Pd fabrianese ed è facile che saranno i morti a careggiare i feriti.
Ma il “passo avanti e due passi indietro”, per la verità più democristiano che leninista, non è un garbuglio casuale, l’incertezza eccezionale che volentieri si concede agli impeccabili, ma il tratto dominante di questo primo scorcio di quinquennio sagramoliano. Al primo cittadino vanno sicuramente concesse alcune attenuanti generiche; attenuanti che si debbono a chi si ritrova ad amministrare una città costretta a cambiare rapidamente pelle e comportamenti e a chi era abituato a cariche politiche – come la vicepresidenza della Provincia – profondamente cerimoniali e solo superficialmente connesse all'aspra dinamica del decidere. Ma quel che non si emenda e non si può tacere è l’approccio seriale ai nodi irrisolti, praticato attraverso un metodo che si ripete sempre fino a diventare standard: oscuramento e affumicamento del vero, limatura permanente d'angoli e d'asprezze e la tendenza irrefrenabile ad affrontare i problemi e le decisioni sempre di lato e mai di petto, restituendo – con la cadenza ossessiva di un pendolo in movimento perenne – la sensazione di un’incertezza elevata a manomissione, a deficit necessario per prolungare l’attesa e risolvere il caso logorandone i fianchi fino a togliergli evidenza e urgenza. Quel che difetta in Sagramola è ciò che Pasolini ebbe meravigliosamente a definire una “dura eleganza non cattolica”, ovvero la capacità di leggere la realtà con piglio non remissivo ma senza sacrificare lo stile ed evitando di sprofondare nel gioco clericale del peccato e della sua remissione.
Di questo modo di fare - in cui si mescolano politica, cultura, retaggi, orgogli e pregiudizi – l’amministrazione di centrosinistra offre quotidiani ed emblematici squarci. E’ quella che in psicologia viene definita “coazione a ripetere”, la tendenza a mettersi nei guai, a imporsi il "penoso e l'appenato" come cifra distintiva fino a farne patologia, a servire il vero negandolo e disponendolo in un angolo appartato e senza luce.
La questione dell’ex asilo del Borgo, occupato e trasformato in laboratorio sociale di cui si giovano cittadini e associazioni, è da questo punto di vista una sintesi straordinaria della coazione a ripetere. Da un lato una gioventù magmatica che cerca nuove sperimentazioni sociali a partire dalla disarticolazione dei poteri e del sistema economico locale; dall’altro un’amministrazione comunale asserpata in editti burocratici, in lettere che vanno e vengono per uffici, destinatari e protocolli, in promesse a metà e nel buco nero di una società remunerata con l’immobile ma che l’immobile non se lo intesta. Fino all'estasi scajolesca di gente che sa e gente che ignora. In questo quadro Sagramola ha, come al solito, agito per qualche istante di petto e poi subito di lato, perché a disagio nel confronto duro e paritario e assai più agile e scattante tra collosità e mollezze. Il Centro Sociale Fabbri, che vive l’occupazione di spazi come tratto genetico e identitario, ha tenuto botta amplificando il consenso popolare e trasformando l’occupazione in una metafora di produzione creativa. E lentamente la minaccia di sgombero ha cominciato ad andare e venire, come lo sventolìo di ordinanze e di indici puntati. Ma, probabilmente, resta intatto nel Borgomastro il desiderio di un repulisti, anche perché il tempo stringe e l’amicissimo Letta sta per fare visita. Occorre liberare il salotto buono dai rischi che la bella cerimonia sia scalfita da un rovente saldarsi di operai e di gioventù. Ma come realizzare il “tutti a casa” senza che del "tutti a casa" si ragioni troppo e troppo pubblicamente? Facile: si ricorre all’assedio, in modo che lo sgombero non sia chiassoso ma lentamente distillato. Niente di ferocemente saraceno, sia chiaro, ma azioni efficaci e circoscritte, orientate a tagliare quel comfort minimo da cui anche un’occupazione post moderna non può permettersi di prescindere. Da quanto si mormora pare sia in fieri un’operazione utenze, una Shock and Awe incentrata sul taglio dell’acqua e della corrente elettrica agli occupanti. Sulla questione dell’ex asilo ci torneremo ancora perché c’è davvero tanto e tanto da dire, ma per ora, più che altro, ci solletica rimarcare la reiterazione del metodo. Un Sindaco di stazza e di rango ha due possibilità: o fa sgomberare subito o subito tratta e chiude la faccenda. Far trascorrere tempo - sperando che l’occupazione defluisca da sola e per semplice stanchezza - e poi ricorrere a modalità da pubblicano delle antiche colonie romane, tagliando acqua e luce, è il simbolo e il sintomo di un fare condominiale in cui convergono isterie vicinali e pochezze in millesimi. Ed è sberleffo scintillante e carnevalesco apprendere che gli occupanti si stanno organizzando per vanificare il sagramolesco e incerto assedio. Power and water: energie alternative e poi chiare, fresche e dolci acque. Perchè stavolta chi beve acqua non è detto che abbia anche qualcosa da nascondere.
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