27 marzo 2013

L'insalubre sindrome di Pecoraro



Anni fa, quando imperava seppure a stento il rigoglioso Ulivo prodiano, uno dei mattatori di quella stagione un po' naif si chiamava Alfonso Pecoraro Scanio. Era il capo assoluto dei Verdi, un monarca ecologista che fu uno dei sicuri artefici del declino di quella forza politica che per prima aveva segnalato e incanalato il distacco dell'opinione pubblica dai partiti tradizionali. Come tanti ambientalisti granitici e spesso intolleranti, Pecoraro Scanio era solito mescolare impeto francescano e carriera , perché aveva ben chiaro l'appeal politico della questione ecologica e la possibilità concreta che, a partire da quell'approccio, si potessero schiudere percorsi di potere personale, luminosi e ridenti come il sole stampato nello storico simbolo dei Verdi. Ma il disegno di Pecoraro fallì e dei Verdi non è rimasto nulla, se non un utilizzo localizzato, opportunistico e anacronistico del nome e del simbolo, in salsa fabrianese, per aiutare la candidatura di Sagramola alle ultime comunali. Di certo, invece, è rimasta in circolazione una certa cultura dell'ambientalismo, una sindrome di Pecoraro che spinge a dire sempre di no, a vivere la produzione energetica come sistematico attentato alla salute e a concepire le dinamiche dell'industria come violenza perpetrata dagli agenti del profitto contro l'ecosistema e contro i meccanismi della decrescita felice. Oggi, nel nostro Paese, non esiste comune o contrada in cui non sia presente un qualche Comitato che si oppone a qualche impianto: tradizionalmente animato da qualche capopopolo ambiguo e contiguo al potere, dal demagogo appassionato che mette a disposizione la saletta per le riunioni e da qualche forza politica che si fa carico - sempre per generosissime ragioni di convinzione e condivisione - di rinomate e nobilissime "istanze" di difesa della purezza del creato. Ultimamente la Sindrome di Pecoraro ha colpito pure il nostro territorio. E' di qualche giorno fa la manifestazione delle donne di Matelica che hanno organizzato una manifestazione di protesta contro una delibera dell'amministrazione comunale che autorizza l'impianto di industrie insalubri a rischio di incidente rilevante. Il Comitato del No ha fatto quel che sa fare: dire di no, coinvolgendo in questo niet quasi sovietico sia il Sindaco di Cerreto d'Esi che quello di Fabriano, lesti nel cogliere l'occasione per fare la voce grossa e categorica su temi che, ovviamente, portano consensi e riconoscimenti di sana e verdissima costituzione. Alessandroni e Sagramola hanno dichiarato che sarà loro dovere evitare scelte che possano mettere a rischio la salute e la sicurezza dei cittadini. Dichiarazione che non fa una piega, tanto è politicamente corretta, ma che non entra nel merito dei problemi rifiutando un approccio riformista alla materia degli insediamenti industriali e  produttivi. La grande questione del nostro tempo, anche a livello locale, è infatti quella di creare occupazione.  A tutti i costi. Occupazione varia e variegata, sicuramente libera dai vincoli di sostenibilità e dai rischi di crisi generale connessi al monoprodotto. Un'occupazione in grado di riscoprire antiche vocazioni, vecchi mestieri e nuove dimensioni produttive legate al genius loci. Ma se non vogliamo strangolarci con nuove mitologie ruraliste dobbiamo sapere che la tradizione valorizzata non è sufficiente a ricostruire uno stock occupazionale coerente con i bisogni del territorio. Serve ancora industria e anche quella insalubre può e deve far parte di questo disegno di ricostruzione degli insediamenti industriali. Ma per riuscire in questa complessa quadratura del cerchio è necessario sanare il contrasto ideologico e la presunta incompatibilità tra industrialismo e diritto alla salute dei cittadini. Il punto di equilibrio è quello di un impegno implacabile e corale sul rigore dei requisiti di sicurezza, sui contenuti concreti dell'autorizzazione integrata ambientale, sui processi di controllo delle emissioni, sulla funzionalità degli impianti di abbattimento, su forme innovative di socializzazione e pubblicizzazione del controllo sui processi produttivi. La sfida, insomma, è quella di entrare nel merito, di sporcarsi le mani, di negoziare condizioni e protocolli ambientali rigorosi, di rendere compatibili le esigenze produttive e i diritti delle comunità coinvolte anche attraverso accordi di compensazione che impongano, a chi impianta aziende potenzialmente inquinanti, di concorrere alla tutela del territorio anche attraverso investimenti sul territorio stesso non finalizzati alla produzione ma alla tutela urbana e paesaggistica. Il vecchio gioco a somma zero dove se vincono le ragioni dell'industria debbono soccombere quelle dei cittadini e viceversa non può che condurre in un vicolo cieco; un budello intellettuale popolato di escalation conflittuali, di negoziazioni abortite e di pecorari scani assai più dannosi di un'emissione in atmosfera.
    

18 commenti:

  1. Per una volta totalmente d'accordo

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  2. in un mondo perfetto, avresti ragione da vendere...e su certi punti, quando ti riferisci ai "pecorari scani", ne hai di sicuro; il problema grosso, è che in italia le leggi sono fatte apposta per poter essere utilizzate a scelta, come carta da culo, o come spada.
    l'AIA è un'ottima cosa, nelle intenzioni, in realtà, però, è un groviglio di norme fumose che costringe chi vuole "imprendere" ad inventarsi degli escamotage, almeno fino all'ottenimento dell'autorizzazione, inoltre, le amministrazioni "competenti"(giusto per autorità, non per autorevolezza) cavalcano l'iter burocratico come merce di scambio (cosa vista di persona), più che come garanzia per la popolazione ed il territorio, di cui, gli amministratori degli enti locali, dovrebbero essere gestori e difensori.
    gli insediamenti "pericolosi", fanno tremare le gambe; non dimentichiamoci di quello che abbiamo nel nostro sottosuolo...e probabilmente nel nostro organismo, in nome dell'occupazione (che è sparita, al contrario degli inquinanti)
    c'è bisogno di controllo e ormai tutti hanno capito che non possiamo aspettare che altri lo facciano per conto nostro; il problema grosso, è che spesso chi controlla deve chiudere un occhio...altrimenti, poi, le aziende vanno a gambe all'aria...insomma, il solito cane che insegue la sua coda.
    _________________
    G.R.

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  3. Torneremo tutti a zappare la terra di questo passo...

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  4. off topic:

    che pena, i giornalisti molto + acuti dei politici grillini....
    http://www.youtube.com/watch?v=raLlD4Rjl_Q



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  5. Ma dico io, avevamo già le nostre industrie, il mono prodotto è una cazzata in quanto stanno chiudendo tutti i comparti, tutti i settori, non c’è più un prodotto che viene realizzato in Itala. Basta leggere il “made in” sui prodotti distribuiti nei punti vendita.
    Ma allora, perché ricostruire all’estero opifici che già abbiamo qua belli e funzionanti ed esportare la il nostro lavoro invece di costruire direttamente all’estero, queste industrie insalubri? Staremo meglio tutti no? Per me sta qui la fregatura, se erano veramente buone queste industrie non ce l’avrebbero costruite nel nostro cortile!

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  6. Toni gli altri si stanno prendendo il meglio...siamo noi la nuova discarica mondiale...inversione di ruoli...

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    1. Allora meglio morti che vivere in discarica.

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    2. Non solo discarica ... siamo anche il paese in Europa che esporta piu' rifiuti all'estero, invece di riciclarli. Circa un terzo dei container che partono dai nostri porti contengono rifiuti per rifocillare le fameliche industrie asiatiche.

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  7. la decrescita, felice o infelice che sia è inevitabile, e non perchè qualche pseudo-frikkettone ha avuto questa idea, ma perchè le dinamiche globali del capitalismo stanno determinando che "fare industria" adesso è + più conveniente in altri continenti (neanche in altri paesi).
    in questo periodo in cui va di moda riempirsi la bocca di parole come "politiche/iniziative dal basso", salvo poi andare a votare per far prendere le decisioni a qualcun'altro "dall'alto", gli unici movimenti che veramente si muovono dal basso sono quelli che si fondano su una presa di coscienza ambientale (ed era ora!).
    normalmente questi movimenti vengono dipinti superficialmente come movimenti del "no a prescindere", chiara retorica per denigrarli, in realtà le critiche che oppongono sono molto più studiate/ragionate/strutturate di quelle di chi è a favore di progetti che solitamente implicano "paccate di milioni" di appalti e impatti ambientali consistenti.
    l'esempio della TAV è clamoroso: il fronte del no ha prodotto numerosi documenti/informazione che indicano l'assurdità dell'opera, dall'altra parte ci si limita a dire che la cosa va fatta, militarizzando un territorio intero e liquidando come "ordine pubblico" il dramma di una popolazione che a stragrande maggioranza è contraria ad uno scempio simile.
    tornando al locale, innanzi tutto andrebbe chiarita l'effettiva valenza occupazionale di un impianto del genere...non stiamo parlando di una fabbrica che si articola lungo una catena di montaggio...è una situazione ben diversa!
    inoltre stiamo parlando di una "industria insalubre a rischio incidente rilevante", dicitura che non è stata formulata dai comitati del no e che credo renda l'idea di che tipo di impianto stiamo parlando!
    i nostri territori, ormai industrialmente depressi, iniziano a venir trattati come per anni è stato trattato il terzo mondo o, in maniera minore ma comunque analoga, il sud italia...non conviene (non più, nel nostro caso) piazzare industrie produttive per cui facciamo girare appalti e magna magna vario con impianti estremamente pericolosi, facendo leva sulla tendenziale disperazione di popolazioni che si vanno impoverendo!
    inoltre come vengono affrontate da noi certe tematiche?
    io noto che decenni di industrie "NON insalubri" hanno avvelenato fiumi e territori (tra scarichi industriali e amianto sparso per le campagne), nel silenzio colpevole più o meno di tutti...nel post di ieri si parlava di multe low cost per i parcheggi, ma di multe HIGH cost per chi avvelena persone e territori quando iniziamo a parlarne?
    l'incremento di tumori vari (argomento trattato anche su questo blog) che colpisce gente di tutte le età, anche in un territorio sostanzialmente poco urbanizzato come il nostro, non è che sia una qualche punizione divina interpretabile attraverso inspiegabili misteri della fede...mettiamoci pure le industrie insalubri...da veri geni!

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  8. Io penso che la decrescita la stiamo sperimentando giorno dopo giorno in questo territorio. E non è sicuramente una decrescita felice. Ho lavorato per sette anni in un'azienda insalubre e posso garantirti che venivano investiti milioni di euro a tutela della salute e dell'ambiente. Questo nuovo luddismo sinceramente non mi convince e come dicono gli esperti la maggior parte dei tumori dipendono dall'alimentazione più che dalle imprese insalubri. E di industrie salubri non se ne conoscono. Questo blog ha trattato l'argomento tumori per capire se ci possano essere eventuali connessioni tra forme tumorali e settori produttivi. Con l'obiettivo di rendere compatibile salute e produzione non per impoverire il sistema e morire di pellagra

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    1. Quello che sta accadendo a Fabriano non lo metterei sotto la voce di “decrescita felice” ma impoverimento e deindustrializzazione ossia stiamo percorrendo la strada verso il nulla. La “decrescita felice è un'altra cosa è una scelta di vita e di economia. Di costruire le cose in loco, a km. Zero che dovranno rispondere a requisiti di qualità superiore per poter essere riparate e riutilizzate.
      Diciamo un pochino meglio della discarica no?

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    2. ed infatti rendo grosso merito al blog per aver provato a ragionare sulle connesioni settori produttivi-tumori, argomento altrimenti poco trattato dalle nostre parti!
      proprio perchè vedo poca coscienza (in generale) su un problema del genere, sono molto scettico riguardo all'istallazione di impianti potenzialmente molto più pericolosi di tutte le fabbriche che hanno mai operato o che operano tuttora nel nostro territorio.
      sull'alimentazione sono d'accordo in parte...è sicuramente importante ma credo ke l'approccio debba essere + olistico...non si può prescindere dall'osservazione anche delle emissioni inquinanti, vedi ilva a taranto o diossina in campania.

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    3. e ci ritorneremo presto su questo tema

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  9. Se mi è permesso, ecco un educativo dibattito sulla decrescita...
    http://www.youtube.com/watch?v=67pgcKbgrlg

    Quando Pallante è venuto a Fabriano io c'ero.

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  10. Ho letto il libro si Serge Latouche che è stato quello che l'ha teorizzata più approfonditamente diversi anni fa. Ci sono buone cose ma la logica di fondo non mi convince

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    1. ...ho detto che c'ero...non che sono d'accordo con la teoria della decrescita. :)

      Per chi è interessato si guardi quello che è successo in Giappone...

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  11. Caro Simonetti, trovo maggiormente dannose per l'atmosfera le emissioni derivanti dall'incenerimento dei rifiuti nei forni dei cementifici, che il governo Monti e il parlamento appena decaduto, hanno autorizzato, nonostante le risoluzioni europee che vietano questa pratica. Ma in Europa, notoriamente, quando si parla di ambiente sono dei fessi, mentre noi italiani la sappiamo lunga ... guardiamo lontano ...

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