I lavoratori della Indesit, nel corso di un’assemblea
tenutasi oggi, hanno deciso di sciogliere il presidio al magazzino centrale
dello stabilimento di Melano. Si tratta di una scelta di natura
“sospensiva”, su cui ha sicuramente pesato la decisione distensiva della
Indesit di remunerare la giornata di venerdì scorso, quando i dirigenti
dell’azienda optarono per un’azione estrema, immotivata e tartufescamente
camuffata come la serrata parziale. L’impressione è quella di un bisogno di
decompressione, di un cessate il fuoco a tempo determinato siglato dalle parti,
senza bilateralità di accordi, per calmare gli animi in vista dello sciopero
del 12 luglio e per non compromettere il clima del tavolo nazionale. Un tavolo
aziendale e non settoriale, dove si discuterà solamente del destino della
Indesit e quindi al netto di una riflessione a tutto campo sulle politiche
industriali necessarie per mettere in sicurezza il settore degli
elettrodomestici. Comunque vada è sempre più evidente che l’esito della vertenza
non si deciderà a Fabriano ma a Roma e questo cambia anche il ruolo e la
funzione della protesta sindacale che nella nostra città va avanti dai primi di
giugno. Lo sciopero a gatto selvaggio e i presidi notturni sono, infatti,
battaglie sindacalmente impegnative e umanamente dispendiose, ma del tutto interne al
conflitto e quindi a basso grado di richiamo e di coinvolgimento esterno. Ciò
significa che questa tipologia di mobilitazione è più adatta quando lo scenario
decisionale è localizzato in prossimità dei luoghi in cui si concretizza la
lotta e meno efficace se la sede decisionale si sposta, anche
fisicamente, in un altro contesto. In tal caso – e sembra questo il trend
contrattuale della vertenza Indesit – la mobilitazione locale diventa un’azione
di supporto, orientata da una specifica necessità: fare pressione, stressare
psicologicamente il tavolo nazionale, scongiurare il rischio di un clima di
contrattazione spassionato e asettico, dare la sensazione anche mediatica
di una intera comunità pronta ad esplodere. Siamo quindi di fronte a un
dinamismo che fa evolvere la situazione e, di conseguenza, modifica anche il
profilo della lotta. In questo quadro, naturalmente mobile, c’è un solo punto
fermo: non esiste disponibilità a modificare i contenuti di fondo del Piano
Indesit perché essi, secondo l’azienda, sono la garanzia della competitività
futura del gruppo; un gruppo assediato da competitors giganteschi in cui la
produzione di elettrodomestici è una business unit tra le tante, i cui
risultati si collocano in una logica complessiva in cui, all'interno del portafoglio
delle attività, è possibile avvalersi di sinergie e compensazioni. Opportunità
che Indesit non può esprimere in quanto, in toto, multinazionale degli
elettrodomestici senza diversificazione settoriale. L’esigenza posta
dall'azienda - a mettercisi con tanta buona volontà - potrebbe pure sembrare strategicamente sensata, ma c’è il legittimo e fondatissimo sospetto che non sia sufficiente tagliare 1.425 persone (e sottolineo persone non
esuberi) per competere alla pari coi giganti che presidiano il settore. Ed è per questo
che c’è pure chi sostiene che quella prevista dal Piano sia soltanto la prima
ondata, cui faranno seguito nuove pene e nuovi frustatori. ma paradossalmente potrebbe essere proprio questo il crinale sottilissimo - del tutto legato ai diversi scenari di competitività del gruppo - che spiega alcune voci che hanno cominciato ad attecchire voci dando per possibile,
e forse anche probabile, un intervento a breve di Maria Paola Merloni, da quel che si
dice poco propensa ad adattarsi al ruolo di capro espiatorio e sempre più dubbiosa sull'evoluzione della vicenda Indesit. Ma questo è un campo minato in cui è molto più saggio farsi scudo con lo scetticismo di San
Tommaso che affogare in qualche entusiasmo infondato e passeggero come quelli che abbiamo visto buggerare uomini delle istituzioni sul caso Tecnowind.
1 luglio 2013
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Bisogna spostare la protesta a Roma, insieme a tutti quelli che vengono da passato e si dirigono verso un futuro prossimo come il nostro.
RispondiEliminaCondivido ma Fabriano deve proseguire sennò finisce come con la Ardo: proteste a Roma e silenzio qui
EliminaQuello che volevo dire è che le proteste sindacali non importano più niente a nessuno. Ma forse quelle del distretto dei divani pugliesi, degli elettrodomestici marchigiani e via discorendo farannò riflettere molto di più... o almeno così spero.
RispondiEliminaSe sono tutte unite.
RispondiEliminaSono finiti i sordi
RispondiEliminaI sordi non sono tutto, pagano solo i conti,...affetti, dignità e ++++ valgono di più
RispondiEliminate li sbatti dal culo quando non arrivi a fine mese gli affetti e la dignita! =D
RispondiEliminaEvidentemente Maria Paola Merloni quando il CDA di Indesit ha votato gli esuberi era al bagno, oppure era a Roma a difendere gli interessi di Fabriano. Se invece era presente, sarebbe un atto di trasparenza far conoscere il suo voto e le sue dichiarazioni in quel CDA.
RispondiEliminaPiù che Maria Paola, comunque, quando sbotterà e si scoperchierà il pentolone della J&P saranno cavoli amari per tutti.
RispondiEliminaRagazzi una domanda che mi chiedo da 7 anni, Quando cazzo finisce la cassa integrazione per quelli della Ardo?
EliminaNo perchè sai comè io non trovo lavoro e quelli sta a panza all'aria da 7 anni! grazie della risposta, se qualcuno mi saprà delucidare sulla questione
Durerà quanto quella della Indesit così raddoppieranno quelli co la panza all aria
EliminaChe figata quindi so i soliti 4 coglioni a rimane senza stipendio e senza sordi che bella L'Italia
EliminaEsatto !!!
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