La questione Indesit ha radicalizzato i poli di una dialettica destinata a trascinarsi senza speranza di sintesi a breve termine: da un lato i molti che si cimentano col lutto, che non si capacitano di un sogno interrotto senza preavviso, che pur consapevoli del fine corsa mitizzano il passato di una vicenda industriale meno convincente di quel che sembra, con la speranza insconscia che una memoria selettiva e trionfale possa trasfigurarsi in un altro scintillante e risolutivo miraggio merloniano; dall'altro quelli del rutto, i dispregiatori di un sistema curvato e incrinato, i partigiani last minute che reclamano una verginità retroattiva, l'onda degli incensatori che, per moda o per comodo, si destano donchisciotteschi e puri e misurano il tasso d'antimerlonismo nel sangue altrui ma mai nel proprio, onde evitare il rischio concreto di fuori scala al ribasso. Ma sia quelli del lutto che quelli del rutto, gemelli e speculari, inciampano sullo stesso sasso: semplificano, travisano e alla fine, denotano la medesima dipendenza ombelicale dalla santissima trinità merlonica: gli uni con l'impeto nostalgico di chi ha subito un abbandono e gli altri per il tramite d'una furia iconoclasta tanto ruggente quanto spesso ipocrita. Il lutto e il rutto uniti nella lotta: o Merloni o morte. Quelli del lutto a chiedersi come faremo a cavarcela senza le certezze lavoriste del buon tempo antico della bellaluce. Quelli del rutto a plaudire al sopraggiungere di un destino pauperista riservato ai nativi e al bello e al buono di una probabile emigrazione cosmopolita e mondialista, che attende al varco i concittadini soggiogati dal sedentario e dal molle di un sistema di polpa ricca e adiposa. Ma entrambe le scuole di pensiero sono pure certe che la fine del merlonismo ideologico - diverso da quello economico - sia la comune e vera catastrofe, perchè c'è chi perde un sistema amico e amicale e chi un potere a cui dare addosso esorcizzando frustrazioni e limiti. Per questo sia gli adepti del lutto che i tifosi del rutto prediligono una visione granitica e marziale del merlonismo, narrato e percepito come sistema unitario che non contempla, al suo interno, diversità e articolazioni di rilievo. In fondo distinguere complica la vita e riduce clamorosamente la forza d'urto dei proclami. Quindi meglio una trama unitaria che mille rivoli. Come quelli che si formano a metà degli anni settanta, quando la creatura di Aristide prende a frastagliarsi in tre realtà autonome, che inaugurano e poi consolidano la stagione policentrica del merlonismo. Tre realtà aziendali che non sono soltanto diverse dal punto di vista produttivo ma anche sul versante culturale e antropologico: la Antonio Merloni, attraverso una vocazione terzista ripulita d'ogni fronzolo, incarna un industrialismo tradizionale e seriale, fondato su maestranze mansuete e fedeli saldamente radicate allo spazio retrivo del contado e delle frazioni; la Merloni Termosanitari rappresenta la discrezione che sfiora il mistero, che fa suo lo stile dell'Ingegnere, più avvezzo al consiglio che al diktat, a suo agio con la relazione persuasiva e con un potere vasto e profondo ma curiale e felpato. Al punto che Merloni Termosanitari è il secondo gruppo industriale delle Marche e a volte manco ce ne ricordiamo conto e non ci si fa caso, perchè essere grandi e grossi e non fare notizia è un modello di leggerezza e di abilità che si nega allo sguardo di supeficie del viandante. Il vero potere, infatti, non suda e non ha bisogno di luci e faretti. E da ultimo la Merloni Elettrodomestici, l'azienda vetrina, la forma evoluta e moderna del merlonismo - di cui Vittorio Merloni fu un vero Ministro degli Esteri - suggellata da quel capitalismo relazionale che lo vide indiscusso maestro di cerimonie e di sostanza, sin dai tempi della presidenza di Confindustria, negli anni duri della scala mobile e del confronto con il riformismo sanguigno del compianto Luciano Lama. E' il policentrismo del modello merloniano che spiega, quindi, mentalità e atteggiamenti. E' la diversità di standing e di lignaggio tra i tre grandi tronconi dell'elettrodomestico fabrianese che evidenzia la diversità di approcci dei cittadini e della comunità rispetto al successo così come innanzi alle crisi e ai problemi: l'indifferenza glaciale di fronte alla crisi Ardo - espressione di un tradizionalismo politico e sociale percepito come estraneo e un po' "buzzurro" rispetto ai bisogni e al dettato della modernità -; il furore caldo scaraventato addosso a Indesit - vanto esterno rinomato e luccicante, vetrina di un territorio saccente e presuntuoso che sente in gioco identità e futuro -; il distacco perplesso e carico di soggezione rispetto alle vicende apparentemente statiche della Thermo Group. Quel che è finita in questi giorni è, quindi, una sudditanza psicologica nei confronti di un sistema economico e aziendale non certo monolitico ma erroneamente percepito come tale dai fabrianesi; una subalternità stranamente intatta sia in chi cerca di elaborare il lutto che in chi prova a risolvere la diatriba rivendicando un rutto. La sfida del futuro, invece, non può che ripartire da un'economia locale liberata dall'ideologia e dal superamento di quel senso del tragico con cui un' intera comunità ha accolto il disinvestimento di uno spezzone della famiglia, pensandolo non come il crepuscolo degli dei ma come la fine della speranza economica e sociale. La Indesit avrà una presenza ridimensionata in città e la Ardo è tecnicamente fallita e, quindi, la più grande azienda fabrianese diventa Ariston Thermo Gruoup e, in una prospettiva che guarda il futuro, credo possa essere utile e interessante capire cosa succede da quelle parti, solitamente taciturne e silenziose. Smettendo di tenere una intera comunità sotto lo scacco di un dolore inguaribile e sospesa tra un lutto e un rutto comprensibili ma velleitari.
15 luglio 2013
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E intanto le news me le da il Kebabbaro Turco che mi racconta che amici suoi sono venuti ap ortarsi via le catene della Ardo, mentre altri lavorano insieme a Indesit... Ne sa più lui che noi ?
RispondiEliminaContinua a magnà robba turca, che tra un pò ce se magnano a noi
EliminaBe‘ direi che è ora di farne un volume di questi interventi sul vivo del territorio, sono le cose migliori degli ultimi anni, trovati un buon editore, vedrai che questo lascerà una traccia, Alex
RispondiEliminaLa tua analisi della imprenditorialità' dei Merloni non fa una piega, vorrei osservare che una differenza epocale la sta facendo il management che quando era unico ha messo basi solide anche se innervate dalla genialità dell'idea scaldabagno che non è' mai più stata replicata , quando ha operato per singole aziende e' semplicemente sparito da Ardo, e ovviamente sono falliti tra rumore di ossa e fragori vari, MTS gestita da un grande gruppo, almeno fino agli inizi del 2000 corre ancora su gambe solide piantate da chi, fatto fuori da Paolo Merloni e rimpiazzato da Bocconiani meglio se ingegneri e meglio se da Bologna in su, ha comunque dato un imprinting che nemmeno i Merloni ad ora riescono a vanificare......Indesit, che dire, aveva a bordo una delle teste migliori di questo disgraziato paese, Andrea Guerra e lo ha sacrificato sull'altare di AM, fatto ancora più' eclatante se si considera che era un uomo nato in azienda.....Delvecchio ancora ringrazia ma insomma......credo sia molto in queste vicende il decollo o la morte o la quasi morte di Merlonia chi ha avuto la fortuna o la bravura di vedere oltre il 27 del mese forse ora guarda più tranquillo le vicende, ma che tristezza passare in poco più di dieci anni da un quasi cartello ( magari più di sostanza che di forma, e questo fa parte delle tante occasioni perduta da Merlonia......) alla situazione attuale forse sarebbe bastata una dose di sana testa dura contadina e un management di qualità che del resto escluso Ardo esisteva.......ho letto come consigliato nel blog l'intervista di Guerra a Repubblica e secondo me era la ricetta per molti dei mali della cosiddetta grande industria Italiana....sigh
RispondiEliminaIl "cartello" de che? Il mercato cambia sempre, la battaglia è ogni giorno...
Elimina"Indesit aveva a bordo una delle teste migliori di questo disgraziato paese, Andrea Guerra"...cerchiamo di non esagerare...
EliminaMi mandate cortesemente il lik dove trovare l'intervista a Guerra?
EliminaChe la testa di Guerra sia brillante e funzionante si legge tutti i giorni su tutti su tutti i giornali finanziari ...la fortuna anche se esiste nn può durare così a lungo per cui lui è uno tosto.
EliminaAggiungo che si parlava di lui per tutte le poltrone più prestigiose, e remunerate, di questa piccola italiota, Alitalia compresa, il fatto che sia rimasto nell'industria privata la dice lunga sulla sua testa....poi magari era antipatico e ha mandato spesso a spandere il padrone ma ciò non toglie.......il problema fabrianese e che invece di leggere e informarci rimaniamo ai pettegolezzi....
Eliminase ne parlava per Alitalia, appunto: la madre di tutte le truffe
EliminaL'analisi è buona, ma imprecisa laddove individua MTS in superamento a Indesit sul fatturato. Dove risulta?
RispondiEliminaIntendevo il fatturato prodotto sul nostro territorio non quello in generale. Mi scuso per l'equivoco
Elimina"lo spazio retrivo del contado e delle frazioni" lo metti solo alla A.Merloni. Gli altri invece hanno preso il top delle maestranze...soprattutto Indesit, adesso però li mandano via...qualcosa non quadra...
RispondiEliminaNon era una verità oggettiva ma una percezione....
EliminaTutti a fà domanda alla Thermo, de corsa !!!
RispondiEliminae che vuoi andare a chiedere???
EliminaLAVORO LAVORO LAVORO
Eliminala Termo al momento sembra in buona salute, ben strutturata, buona strategia, buon fatturato. Ma qualcuno ha idea del perché sono stati previsti gli incentivi anche per caldaie e condizionatori? Se il settore non è in crisi..... Quelli per gli elettrodomestici OK, li comprendo. Ma quelli per caldaie e condizionatori? Da dove vengono fuori? E PERCHE'? Sicuri che non ci sono anche altri settori più in crisi di questo?
RispondiEliminaTutto quello che è legato all'edilizia e in crisi pesante.....
EliminaQuoto al 100%
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