9 luglio 2013

Il tavolo di settore che forse svela le intenzioni di Indesit



La sera della fiaccolata promossa dalla Diocesi un amico mi ha fatto una domanda e cioè quanto avrei pagato per vivere una vertenza come quella della Indesit venti anni fa. Era una domanda puntuale, di quelle che colgono nel segno perché chi la formula conosceva bene gli antefatti e, quindi, andava a colpo sicuro. Infatti venti anni fa mi sarei cullato nel romanticismo della lotta, mi sarei schierato di pancia e senza filtri di pensiero, avrei spaccato con l'accetta il fronte dei buoni (gli operai) e quelli dei cattivi (i Merloni e Milani), e sarei andato ogni sera a letto con la certezza di essere dalla parte giusta. Avrei trasformato un problema collettivo in una questione militante e la disperazione sociale in un tonico ideologico. Il passare del tempo, per fortuna, complica e stinge: le mitologie sono archiviate, le semplificazioni hanno lasciato il campo a una visione più distaccata e mesta, ragioni e torti si mescolano e, a volte, confondono le interpretazioni e i punti di vista. Nonostante il sopraggiungere di un grigio adulto e disilluso mi sono schierato con gli operai e gli impiegati della Indesit perché questa è la mia terra e la mia gente. Una scelta di campo più morale che politica, che però non impedisce di guardare le cose onestamente, collocando i diversi tasselli in una prospettiva più attenta e meditata. E in questo senso anche il punto di vista della Indesit va analizzato e valutato senza demonizzazioni, perché il declino della produzione manifatturiera italiana non è un complotto di Milani ma un fatto strutturale. C'è una domanda che, più o meno tutti, abbiamo evitato di farci e cioè se, dal punto di vista dell'azienda, produrre in Italia sia una scelta sana e lungimirante o se corrisponda invece, in queste condizioni, a un suicidio lento e prolungato. Come ha detto la Camusso, Indesit fa utili e non si può dire che sia un gruppo in crisi che ha stringente necessità di una ristrutturazione. Ma se uno si prende la briga di guardare il conto economico della Indesit si accorge che l'utile industriale, da un anno all'altro, si è ridotto di quasi un terzo. Ciò significa che la cosiddetta gestione caratteristica perde colpi ed è su quella che si misura una parte importante del livello di competitività dell'azienda. Guardando i numeri, con la prudenza che deriva dall'ignoranza e dalla consapevolezza che i bilanci ufficiali dicono tanto e non dicono niente, ci si rende conto che a pesare sono prevalentemente fattori ambientali esterni, sui quali il potere di intervento dell'azienda è strutturalmente limitato: l'aumento dei costi delle materie prime, l'incremento sempre più insostenibile della bolletta energetica che incide violentemente sulla competitività del sistema Italia, la crescita dei costi di trasporto e della componentistica, il maggiore potere contrattuale della grande distribuzione, il rafforzamento dei competitori asiatici nell'area del freddo e del lavaggio, la tendenza ad allungare il ciclo di vita medio dei prodotti e l'assenza di qualsiasi dinamismo nel mercato dell'edilizia. In questo quadro di fattori di scenario che non possono essere modificati e di mercato in contrazione l'azienda non può investire sul futuro immaginando recuperi di competitività basati su auspici e dichiarazioni di intenti. E' quindi comprensibile che l'azienda agisca cercando di guadagnare polpa sul versante del costo del lavoro e che lo faccia pianificando tagli e calcolando esuberi. In questo senso è intelligente la proposta di costituire un tavolo nazionale sul settore degli elettrodomestici, formulata unitariamente ieri dal sindacato, perché se si vogliono mantenere certe produzioni in Italia è necessario farlo attraverso politiche industriali che i governi non sviluppano più dal tempo della Olivetti e di Enimont, quando errori e scandali misero una pietra tombale su qualsiasi ipotesi di programmazione dello sviluppo industriale nel nostro Paese. Su questo punto nevralgico capiremo, quindi, quale sarà la reale posizione dell'azienda: se deciderà di aderire, partecipando costruttivamente a decisioni complessive e di settore, o se invece il suo Piano guarda altrove, in quanto frutto di altre logiche e altre decisioni.
    

16 commenti:

  1. Nostradamus09 luglio, 2013

    Indesit si fonderà con Whirlpool.
    La seconda taglierà la sua produzione in Italia.
    La prima, al contrario della pantomima che ha messo in scena, manterrà i poli produttivi riducendo di poco gli operai.
    In realtà sono gli impiegati che andranno a scomparire, perché in Italia ci saranno solo le braccia di questo nuovo mostro con la testa altrove.

    Nostradamus

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    1. 30/03/2015. Wow che precisione!!!...se ti dó una schedina del superenalotto, mi fai un 6? Scherzo...anche gli operai saranno pesantemente toccati...purtroppo...

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  2. Il problema e' descritto bene ma, se da una parte e' vero che per certe produzioni la delocalizzazione e' necessaria, all'altra parte una seria politica e di innovazione tecnologica seria potrebbe consentire ai marchi di piu' alto posizionamento (leggi Hotpoint per esempio) di mantenere livelli di produzione accettabili anche in Italia. Il made in Italy ha ancora un valore (specialmente se rapportato al made in Bulgaria, Turchia, Polonia, etc.) ma deve essere riempito di contenuto e non svuotato come ha fatto Indesit posizionandosi di fatto sempre su fasce di mercato estremamente basse dove il risparmio vale molto di piu' di un vendere prodotti con alto valore aggiunto... Purtroppo la vendita di Indesit e' l'unico obiettivo che hanno i vertici aziendali, mentre prima l'unico obiettivo era di migliorare la performance di borsa nel breve periodo... altre letture, a mio avviso, non ce sono...

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  3. Resta un dato di fatto: fare impresa in Italia è e (purtroppo) sarà sempre più difficile: tassazione altissima, burocrazia asfissiante, poche certezze legali. Lasciare il paese potrebbe essere semplicemente l'unica forma di protesta possibile per certo mondo imprenditoriale. Poi, investimenti e innovazione si possono fare anche producendo in Turchia o in Bangladesh...

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  4. Senza contare tutti gl'italiani, che a occhi chiusi, comprano prodotti dei paesi low cost...

    Si vota anche con i soldi.

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    1. Certo come no, tutti a comprà Hotpoint de Merlò...ma famme il piacere !!!

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  5. ... e poi ci si lamenta gridando.

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  6. E già, siamo noi il problema, noi come società, come Paese. Per chi vuole fare seriamente impresa o investimenti siamo inospitali a un livello patologico.

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  7. Questa grande impresa è diventata tale grazie anche ai notevoli contributi Statali. Diciamola tutta, la politica ha le sue colpe ma anche la classe imprenditoriale e dirigente. Fiat ne è l'esempio tanto è vero che non aveva neanche necessità di fare auto altrimenti non avrebbe partorito la Duna. Se non la smettiamo con il riverire i vari Romiti, Colaninno, Tronchetti, De Benedetti ecc... considerandoli per quello che sono e non mostri sacri forse potremmo dedicarci ad un ricambio Imprenditoriale migliore. E cozzaglie di collusioni come l'ILVA non troverebbero più spazio. Società regalate che hanno lasciato miseria e danni ambientali. Private nei profitti e pubbliche nelle perdite. Sti cazzi.

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    1. zitto, compra FIAT e Merlò

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    2. Soldi pubblici dati senza clausole particolari ovvio i vari signori citati hanno fatto quello che volevano. Siamo fatti male... e poi siamo anche intrappolati in meccanismi allucinanti, aiutiamo i paesi emergenti dell'UE e poi loro ci fanno dumping commerciale con i nostri soldi

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  8. il mio pensiero contro corrente: INDESIT e' un'azienda e come tale deve fare profitto. In Italia il costo del lavoro e' altissimo, la tassazione ci strozza, il costo delle materie prime pure e quello del carburante per i trasporti anche. Se continuare a produrre qui riduce il margine allora si va a produrre altrove. INDESIT non e' l'unica azienda italiana che lo fa. E la crisi del manufatturiero non e' solo qui ma in tutta Italia. Vero che l'azienda e' cresciuta anche grazie a Fabriano ma vero anche che tanti "merloniani" sono diventati tali non per merito ma per grazia ricevuta, per la parola di un amico, per la conoscenza con...... e cioe' tutto meno che merito! E che dire di tutto il contorno? Avvocati, commercialisti, consulenti che si sono ingrassati succhiando dalla grande azienda. Finora c'e' stato tanto unto in citta', tanti gran lavoratori ma anche tanti lecca_ _ _o che non si sono ammazzati di lavoro ma che hanno comunque munto la vacca. E tanti con il doppio lavoro. Adesso la festa e' finita: l'impresa fa l'impresa e va a produrre dove riesce ad avere piu' margine, i sindacati alzano un po' di polverone, i preti si schierano dalla parte dei piu' deboli........ Quello che davvero mi aspetterei dalla famiglia e' una bella iniziativa NUOVA, diversa, un LA per far diventare ora Fabriano non piu' capitale dell'elettrodomestico ma di qualcosa di nuovo. Diano un bel segnale, un bel gesto per la citta'. Facciano un bello studio delle potenziaita' del territorio e ci indichino la strada per fare di Fabriano tra 10 anni la citta' della..... del.... dei.......

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    1. ...SOMARI

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    2. e questo e' il brutto, sara' probabilmente proprio la citta' dei somari.....!

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    3. Non certo per colpa della Indesit

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    4. I Merloni quello studio lo fecero fare negli anni '60 dall'Università di Pavia (sta scritto nella storia della Fondazione, quel libro verde che ne avranno fatte 100 copie, manco se trova) venne fuori che la fabbrica era (allora) l'unica soluzione. Rifacednola oggi magari esce fuori qualcosa di nuovo

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