I lavoratori della Indesit hanno
portato la vertenza ad Ancona, l’hanno intasata di traffico, di bandiere e gagliardetti sindacali, fino a concludere una giornata di lotta festosa nelle
felpate stanze del Consiglio Regionale delle Marche dove hanno testimoniato l’angoscia del presente e il timore del futuro. Una prova di forza propedeutica allo sciopero di venerdì prossimo che non farebbe neanche notizia se non fosse che i lavoratori fabrianesi - in quel santuario di mediazioni al
ribasso e di continua transazione - hanno compiuto l'atto più dirompente: la contestazione rumorosa del Governatore Gianmario Spacca, il fabrianese più
in vista e prestigioso oltre che persona culturalmente e politicamente figlia dell’utero merloniano. Spacca ha cercato di mediare, di intortare
politicamente il dissenso, di spingere il focus in direzione di Roma e del
Governo centrale, come se Letta non fosse un compagno di partito, di
covata margheritina e un eletto in terra marchigiana. Di fronte a queste
manovre “di alleggerimento” si rimane comunque attoniti, perché sembrano passati anni
luce da quando, per governare il conflitto sociale, era sufficiente ricorrere a
un guscio vuoto e burocratico come l’Accordo di Programma; una scatola del
nulla propagandata con la certezza assoluta che poi sarebbe toccato a
sindacalisti, politici locali e cittadini ignari trasformarla nell'Arca di
Indiana Jones. E sono passati solo tre anni da quella primavera del 2010, quando
il Governatore si giocò un pezzo consistente di rielezione con la sponsorizzazione spinta e convinta della soluzione cinese prima e iraniana poi
al caso Ardo. E’ passato poco tempo ma sembra un secolo, e oggi è davvero
difficile per Spacca convincere i lavoratori chiedendo a Indesit di
cambiare il Piano ma rimuovendo dalla scena
il cin cin con la senatrice Merloni, nell'ormai storico ed epico aperitivo di Genga. Il cambiamento di scenario, con cui tutti siamo
costretti a misurarci, consuma vecchie certezze, abbatte monumenti di
imprenditori e statue di politici. Spacca si sta muovendo con molta
concitazione per sollecitare il Governo ad aprire tavoli di settore e per
attivare ogni azione che possa rendere più dolce, sopportabile e gestibile il
trauma della delocalizzazione Indesit. E’ una lotta contro il tempo attraverso
la quale il Governatore sta cercando anche di mettere in sicurezza la propria
prospettiva istituzionale, perché la sensazione è che il caso Indesit
travolgerà rapidamente quel poco di politica che è rimasta in circolazione dalle nostre parti. C’è
stato un tempo in cui a nessuno sarebbe venuto in mente di contestare e di violare quel principio
di lesa maestà su cui si è basata l’idea stessa di ordine e disciplina nella
nostra città. Oggi, invece, la sensazione è che tutti coloro che, come imperatori potentissimi, hanno esibito lo scettro siano soltanto regnanti
dimezzati, dei Romolo Augustolo che verranno ricordati soltanto per essere
stati gli ultimi a esercitare un potere blando e residuale. Non è chiaro come
si concluderà la vertenza Indesit, ma una cosa è certa: in poche settimane i
lavoratori hanno svelato l’obsolescenza
di un potere. Come nella nota favola in cui tutti vedevano che il
vestito nuovo dell’Imperatore non era altro che pura e adamitica nudità ma tutti
fingevano di essere al cospetto del più prezioso dei broccati. Fin quando non spetto all'innocenza di un bimbo dire tutta la verità e soltanto la verità: “mamma il re è nudo”. E
oggi a essere nudi sono Spacca e il sistema che lo ha generato. E non c'è davvero nulla di potente e michelangiolesco in questo stato di natura.
9 luglio 2013
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E' ora di ammetterlo. Questa economia di mercato e questi mestieranti della politica hanno fallito. Solo se si ammette questo si può ripartire altrimenti cercheranno sempre e solo di apporre della toppe.
RispondiEliminaSiamo sicuri che quel che verrà dopo sarà meglio di quel che c'è stato? E' questa la domanda che rende amara la transizione
RispondiEliminaDella sfera di cristallo nessuno ne è provvisto ma credo che possiamo essere sicuri di quale direzione stiamo intraprendendo e non lascia presagire niente di buono.
Eliminaappurato che lo "status quo" non vale molto (per non buttare via proprio tutto), secondo me, meglio un cambiamento che l'immobilismo.
RispondiEliminacon la paura del nuovo, in quanto ignoto e imprevedibile, ci siamo trascinati appresso delle zavorre assurde.
Poi le cose potrebbero andare anche peggio, ma una sicurezza, penso che possiamo prenderla in considerazione; questa classe politica, non è in grado di fronteggiare la situazione.
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G.R.
Ho letto in un tuo precedente scritto la possibilità che dopo lo stop di metà luglio e la ripresa a settembre delle trattative gli operai possano perdere la forza e la voglia di protestare, mi sembra realistico ma ancora più probabile sarà che a settembre la vendita del marchio indesit ai turchi sarà già avvenuta, potrebbero arrivare a settembre le lettere di licenziamento e il piano di dismissione sarebbe avviato così che il preaccordo diventi accordo siglato, ricordatevi che gli operai stanno muovendosi non per il lavoro (futuro) ma per raccimolare qualche ammortizzatore sociale stile antonio merloni, la paura difatti che ho è che vi sia solo un contratto di solidarietà al massimo valido per due anni se non per un anno solo, credo veramente con preoccupazione che il silenzio del cda indesit e quindi Maria Paola Merloni e Andrea Merloni ma anche Antonella Merloni non faccia presagire nulla di buono se non la mazzata finale al ritorno dalle ferie (se così le vogliamo chiamare) i sindacati non vogliono svelare le carte ma così facendo a chi recano danno e a chi beneficio? Anche la strategia di dialogo con la proprietà viene reiterata negli anni come se fosse vincente ma questa volta non ci saranno da raccogliere anni di cassa integrazione ne scivoli verso la pensione, il quadro è cambiato credo che sia tempo di cambiare lo stile e i riferimenti e magari porre azioni legali collettive a difesa del tessuto sociale mi spiego meglio, bisogna capire le reali finalità dell'azienda le voci parlano di vendita del marchio, quindi non crisi ma alienazione del comparto bianco italia, vi ripeto più che sindacati e governo qui si deve scendere sul piano giuridico oltre un certo numero di operai assunti vi deve essere una responsabilità sociale dell'imprenditore visto come è stato e come sarà che si vanno a modificare (in peggio) le economie di cittadine e di migliaia di famiglie. Reinventarsi come tanti auspicano è una cazzata, quanto tempo ci vuole? Intanto si deve mangiare, pagare le bollette, assicurazioni, e provvedere ai figli, mi sembrano stupiti e irrealistici quelli che dicono "ci risolleveremo" se quando la Indesit ha annunciato i tagli le sue azioni sono aumentate di valore un motivo c'è, è perché il compratore (multinazionale del bianco turca) ha bisogno del marchio perché il suo è una ciofeca, dismettendo in italia i mercati sanno già chi sarà il nuovo proprietario e il valore della merce prodotta, scommettono solo sulla morte del costo italia, quindi bando alla ciancie e chiedere risarcimento per grave danno sociale e economico al territorio con requisizione dei macchinari e capannoni, a il compratore vista la sua mole non ha assolutamente bisogno dei macchinari che stanno a Fabriano ci sono finanziamenti e incentivi che gli permettono se vuole di rifarsele più automatizzate e produttive le linee di assemblaggio non hanno bisogno di quelle obsolete di Fabriano, questo per ipotesi cioè ipotizzando il male peggiore cioè solo la vendita del marchio Indesit. Cosa ne pensate?
RispondiEliminaHanno rotto i coglioni co sti ammortizzatori
EliminaDa quando hanno annunciato "il piano", le azioni sono scese del 25%.
Eliminahttp://it.finance.yahoo.com/echarts?s=IND.MI#symbol=IND.MI;range=1y
Cosa che non dovrebbe succedere alle aziende che stanno per essere comprate...
smitizziamo 'sta storia che le azioni dopo l'annuncio del taglio sono aumentate di valore. Guardatevi il grafico, fanno pena da un lustro...il risarcimento per grave danno sociale...qui siamo al fantadiritto...
EliminaUn approccio corretto alla questione non può che partire dalla riscoperta della nostra Carta Costituzionale, i cui principi sono gerarchicamente sovraordinati rispetto alle norme europee. Come riconoscono unanimemente i giuristi, infatti, regolamenti e direttive europee, per quanto prevalenti sulla legislazione ordinaria degli Stati, non possono derogare alle norme cardine del nostro ordinamento, puntualmente individuati dalla Carta fondamentale. “L’iniziativa privata è libera” (art. 41, 1° comma), e va senz’altro salvaguardata, ma tocca ribadire che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (2° comma): un tanto implica che spetta al legislatore assicurare il corretto bilanciamento di esigenze talora contrapposte, privilegiando gli interessi collettivi (alla salute, al lavoro, alla sopravvivenza economica delle comunità ecc.) rispetto a quelli prettamente individuali. E’ giusto quindi, in momenti drammatici come l’attuale, prestare soccorso alle imprese in difficoltà, e favorire nuove iniziative; ma condizione essenziale è che l’imprenditore si faccia carico di ben precise responsabilità sociali. La legge regionale 27 febbraio 2012, n. 2, (Norme in materia di agevolazione dell’accesso al credito delle imprese), prevedendo incentivi e garanzie a favore delle imprese, si muove nella direzione giusta, ma appare carente sotto il citato profilo della responsabilità. Non basta, infatti, vincolare il beneficiario “a mantenere la sede operativa attiva nel territorio regionale per tutta la durata del finanziamento” o per ulteriori due anni, a pena di revoca del finanziamento (art. 9): chi ha ricevuto soldi pubblici, assume un debito (anzitutto morale e sociale) nei confronti della comunità, e deve pertanto assicurare - nei limiti del possibile - un impegno a lungo termine. Non solo: il beneficiario dovrà impegnarsi a garantire il rispetto dell’ambiente, norme di sicurezza all’avanguardia, stipula di contratti di “buon lavoro” a tempo indeterminato ecc. Non si tratta di vessazioni, sia chiaro: favorire il singolo con risorse derivanti dall’imposizione fiscale – che grava su tutti i cittadini, indigenti compresi – ha un senso soltanto nell'ipotesi in cui l’intervento si traduca in un beneficio collettivo. Pertanto appare equo che, in caso di violazione del patto, la proprietà sia tenuta a restituire le somme ricevute con gli interessi, e a pagare, in sovrappiù, un indennizzo a titolo di danno sociale, che contribuisca a finanziare forme di assistenza: in questo senso va modificata la normativa vigente. Dalla crisi si esce tutti insieme – imprenditori, lavoratori, indotto, negozianti -, o non si esce affatto.
EliminaPenso che siamo al delirio. Le grandi imprese usufruiscono di ammortizzatori sociali per andare all'estero. Dai paesi ospitanti ricevono aiuti per insediare le loro fabbriche. Con l'internazionalizzazione alcune imprese sono arrivate a riavere il 90% dell'investimento. Se si potesse fare, altro che confisca o risarcimento danni. Però il tutto è a regola d'arte nessuno è responsabile ma esiste sempre un'entità astratta che funziona come capro espiatorio. Il mercato, la globalizzazione, i paesi emergenti e vai con il liscio.
RispondiEliminaTutti quelli che hanno votato Spacca festeggiando co le fave e il vino roscio mo se la pigliano in quel posto. Ognuno si prenda le proprie responsabilità
RispondiEliminaSe questa classe dirigente della Indesit (a questo punto chiaramente incapace ed inetta)vuole farsi da parte, vendendo tutta la baracca ai turchi o coreani che siano, per quanto ingiusto sia, non possiamo farci nulla. Del resto era nell'aria da tempo, sono anni che questa azienda si trascina dietro pesi sempre maggiori e insopportabili, costo del lavoro, invecchiamento dei macchinari e strutture, nuovi modelli di prodotti che sono peggio dei vecchi, dirigenti e responsabili vari che, senza la pur blanda supervisione del dott. Vittorio
RispondiEliminaa fatto solo ed esclusivamente i fatti propri, mi riferisco ad aumenti sconsiderati del numero degli imboscati agli uffici centrali, auto aziendali a go go,e mi fermo qui che è meglio.
Unica cosa che possiamo (possono) fare, è costringere in qualche maniera, la nuova proprietà a mantenere qui il lavoro, con qualche incentivo e una epurazione dei rami secchi,
si potrebbe tornare a essere competitivi, del resto la forza dell'idea del vecchio Aristide fù proprio questa, andare contro corrente, quando tutti andavano via, lui portò il lavoro dove nessuno avrebbe scommesso una lira. Prima o poi anche la turchia e la polonia diventeranno non più convenienti e visto mai che questa povera Italietta si rimetta in piedi e diventi l'Italia di una volta.
nel dopoguerra, l'italia era il corrispondente delle attuali nazioni del sud-est asiatico o dell'est europa....
RispondiEliminaanche loro, come noi, in futuro, avranno i nostri problemi...
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G.R.