Sulla vertenza Indesit è sopraggiunta la canicola, la smobilitazione da
anticiclone, il meriggiare pallido e assorto declamato dal grande poeta ligure. I sindacati
hanno riattivato il gatto selvaggio nonostante appaia archiviato l’effetto sorpresa
e si debba ricorrere a una fantasia che, lentamente, sconfina nei sorteggi e
nelle tombole, togliendo alla lotta l’impronta essenziale del dramma per
sostituirla con la bonomia e l’effetto ludico degli scioperi articolati. Dopo
lo spasimo possibilista dell’altra settimana, quando l’azienda ha
intelligentemente lanciato un mosca nel fiume in attesa di un pesce pronto ad
abboccare e felice di farlo, si è ritornati alla routine delle azioni interne e
a un vago sentore di isolamento e di melassa. Lo stato dell’arte risulta quasi impietoso, se solo ci concede il lusso di uno sguardo spassionato:
il sindacato ha commesso un errore strategico, e per certi versi blasfemo, rendendo propedeutico il tavolo di confronto tra il Governo e l’azienda. In questo modo ha delegato la propria autonomia negoziale, rinunciando al fondamento della
concertazione intesa come esperienza triangolare tra parti sociali autonome,
coadiuvate da un governo impegnato in funzione terza e arbitrale. La questione di fondo è che il sindacato ha sbagliato all'unanimità, facendo
coincidere in un unico snodo, ossia nella richiesta di ritiro del Piano da
parte di Indesit, l’obiettivo minimo e l’obiettivo massimo dell’azione
negoziale. In questo modo FIM, UILM e FIOM hanno rinunciato a contrattare,
accettando che fossero i niet di Milani e la moral suasion ministeriale – per la
verità esercitata in forma assai blanda – a definire l’agenda e i termini del confronto bilaterale. Inoltre, respingere qualsiasi altra soluzione o accordo,
che non sia la piena sconfitta dell’azienda, trasforma ogni soluzione intermedia in un tradimento. Ma
contrattare, che piaccia o meno, significa proporre, incalzare l’azienda e il Ministero con
proposte che rispondano non solo a esigenze di tutela del lavoro, ma anche a un
oggettivo bisogno di rilancio di un comparto produttivo in crisi di
competitività e di redditività industriale. Ci sarebbe una parola magica da spolverare e tirare fuori levigata dal bisogno di uscire dall'impasse; una parola magica che contiene un'idea negoziale e una via di fuga possibile: deroga. Se i sindacati vogliono uscire dall'angolo, costringendo la Indesit a
una trattativa sul merito e non sulla rigidità difensiva delle posizioni, devono
avere il coraggio di riflettere su una deroga dal contratto
nazionale, sul modello di Pomigliano. Cosa significa concretamente? Che se il
Governo non ha il coraggio politico e le risorse materiali per attivare una
politica industriale per il settore degli elettrodomestici, allora tocca ai
sindacati proporre una contrattazione di secondo livello, costruita ad hoc e
senza i vincoli del contratto nazionale, per consentire a Indesit un recupero di
produttività e redditività compatibile con gli attuali livelli occupazionali. Al momento la
strategia della Indesit è molto chiara: contratti di solidarietà per gli impiegati,
ricollocamento esterno per i dirigenti e ammortizzatori sociali lunghi per gli
operai. Ma se per i lavoratori non può essere questa la base di un accordo possibile, allora spetta ai sindacati fare la prima mossa per disincagliare una vertenza ormai imballata e destinata a ruotare sterilmente sui suoi presupposti iniziali. E
i temi da trattare sono quelli amari che emergono nei momenti di crisi profonda: orario di
lavoro, straordinari, bilanciamenti produttivi, organizzazione del lavoro,
recuperi produttivi, cassa integrazione, clausole di responsabilità e di
esigibilità del contratto in deroga. C’è ancora nel sindacato qualche ostinato e vigoroso contrattualista che non teme di sparigliare e di riaprire i giochi?
22 luglio 2013
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Che i sindacati possano prendere spunto da questa vicenda + tutte le altre ad essa legata negli altri comparti della produzione industriale italiana e s'incazzino con la politica centrale affinché diminuisca il costo del lavoro e sfavorisca la fuga all'estero? no eh? Troppo complicato per sigle di 4 lettere ombra di una qualsivoglia bandiera rossa?
RispondiEliminaCerte volte mi domando se interessi a qualcuno cercare di salvare un popolo da morte certa o condurlo verso la terapia del dolore... tutti belli anestetizzati dalla droga degli ammortizzatori sociali. Peccato che prima o poi la droga finisce. E dopo? Ce volemo pensa' per tempo o non ce ne frega na mazza?
SIAMO UN POPOLO DI DROGATI!
Per la gioia dei nostri pusher e dei loro magnaccia.
GC