Mi capitava spesso di incontrare Paolo Bassani. Specie di mattina, quando lo vedevo passeggiare con la serenità di chi ha compiuto un dovere fino in fondo. Guardandolo mi veniva sempre da pensare se la quiescenza di un poliziotto fosse una sorgente di nuova vita o se invece non rappresentasse un motivo di privazione, una prigione lieve in cui il passeggiare subentra all'inseguire e lo sguardo distaccato sostituisce il pathos dell’occhio abituato all'investigazione, alla ricerca e alla ricostruzione di una scena. Paolo Bassani, senza volerlo e forse senza saperlo, è stato il nostro Stephan Derrick: un poliziotto attento alla dimensione umana che si nasconde dietro i reati e le devianze, il servitore di un’idea di legge come strumento che certamente punisce ma, allo stesso tempo, redime, riallinea e rigenera. Di lui ho un bel ricordo personale che risale a circa trenta anni fa. Era un sabato sera sera del 1983 o del 1984 quando, con alcuni compagni di scuola, ritornammo totalmente sbronzi da una festa matelicese. Con la tipica e sconsiderata leggerezza degli adolescenti invece di stenderci a letto decidemmo di recarci al Teatro Gentile, approfittando dei biglietti omaggio che venivano distribuiti agli studenti delle scuole superiori. Ci sedemmo nel palco con una gran scia di alcool addosso e tramutammo l’allegria del fine sbronza in un caos incompatibile con la prestazione solenne e ispirata della grande Anna Proclemer che, in almeno un paio di circostanze, interruppe lo spettacolo alzando severamente lo sguardo verso il nostro palco. Poco dopo si aprì la porta in legno e apparvero Bassani – alto come una sequoia e con gli occhi profondamente azzurri – e l’allora Commissario Montalbano, uomo severo e tutto d’un pezzo, omonimo se non precursore del noto personaggio di Andrea Camilleri. Fummo condotti all'allora Commissariato, che se non ricordo male, si trovava nel palazzo che fa angolo destro alla Pisana quando si arriva da Ancona. Montalbano ci fece un cazziatone di ore, alternando minacce di denuncia, carote di educazione civica, moniti meritatissimi sull'idiozia dei giovani, fino a riconvocarci per almeno altri due giorni, giusto per completare la cura omeopatica. In quei momenti - in cui mi sentivo depresso come può esserlo un ragazzino perbene che, senza volerlo, riconosce di aver fatto una cazzata - ricordo nitidamente lo sguardo liquido di Bassani, il sorriso paterno e comprensivo, le parole pronunciate per tranquillizzare ma senza sconti sul fatto che fossimo inciampati in una cazzata da non ripetere. Alla fine tutto si risolse con la classica lavata di capo, poi proseguita tra le mura domestiche con mio padre solennemente silenzioso e deluso, e con il ricordo del nostro Derrick, che provava a farci intendere che sorvegliare e punire da soli non bastano mai ma sono comunque parte di un processo educativo che può renderci buoni cittadini. Da quel giorno l’ho sempre salutato. Tutte le volte che mi capitava di incontrarlo. Come gesto di cortesia ma anche di fedeltà a quell'antico insegnamento. Diceva Hemingway che ogni morte di uomo ci diminuisce. E oggi questo pensiero mi sembra, davvero, più nitido che mai. Buon viaggio, Derrick!
26 luglio 2013
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Grande poliziotto e uomo dolcissimo.
RispondiEliminaCiao Paolo, RIP
Ti abbraccio.
Augusto
P.S.= Complimenti GianPi, bel post.
un grande, una brava persona, un competente come pochi, ecco ki era BBassssaaanniiii, come lo chiamavo io....che ci ho lavorato x un ventennio
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