24 ottobre 2013

La città creativa e il thè nel deserto



 

Di colpo l’euforia per la nomina di Fabriano a città creativa dell’Unesco si è tramutata in gioioso pianto. Con tanto di ossimoro emotivo, incarnato dallo svuotamento della sacca lacrimale a cui pare sia stato soggetto il Sindaco emerito Roberto Sorci al sopraggiungere della notizia. Già, perché immaginare Sorcimin – l’uomo che sussurrava ai cinesi – non intento al riso e allo spatacco ma alla vivissima commozione del successo, aggiunge, al trionfalismo popolare indotto da una classe politica in cerca di palliativi, quella spumosa nota di colore che un pochino stride e molto retrogusta d’amarognolo. Ma gli effetti di contorno, come è giusto che sia, attengono al folklore delle cose e al loro immediato e spontaneo apparire. E allora vale la pena lasciare da parte la critica situazionista provando a intendere il senso di questa operazione Unesco e se essa sia davvero un’opportunità e un brand potenziale o se invece rappresenti una forzatura, una colla vinilica, una sovrastruttura al di sotto della quale difetta gravemente il sostegno di desideri e di spinte reali. Innanzitutto c’è un primo elemento che attiene alla forza dirompente del simbolico e riguarda il clima sociale e culturale della città creativa. La creatività è, infatti, l’espressione di una fantasia tracimante che viene razionalmente inquadrata e orientata verso obiettivi di avere e di essere. Fabriano, inutile girarci attorno, non è mai stata una città creativa. O quanto meno non lo è stata negli ultimi decenni, dominati da una cultura produttiva di tipo taylorista, fondata sul calcolo dei tempi e metodi, su una dinamica ristretta incentrata sulla triade casa, chiesa e lavoro e sulla centralità esistenziale della fabbrica. Meccanismi che, da un lato, hanno generato benessere economico e sicurezza materiale ma in parallelo hanno innescato un effetto collaterale di desertificazione culturale e sociale. Cultura e relazioni sociali sono, invece, l’alfabeto della creatività ma Fabriano e i fabrianesi non hanno mai avuto rispetto della cultura, dell’arte e delle forme espressive della creatività, derubricandole scelbianamente a culturame, a fraseggio senza pagnotta, ad attività centrali e decisive soltanto per i vagabondi e gli sfaticati. Ragion per cui, ad esempio, il lucro è stato confinato nel mondo della produzione industriale, attribuendo alle forme creative l’unica legittimazione di un fare gratuito, non remunerativo e quindi strutturalmente incapace di semina, di sviluppo e di replica. Questa linea di demarcazione netta e feroce tra il produttivo e l’improduttivo ha impattato anche sul modus vivendi dei fabrianesi che hanno interpretato appieno il concetto del villaggio operaio funzionale alla produzione, ma senza di quegli effetti spaziali e architettonici del paternalismo che si possono rintracciare in antiche comunità come Crespi d’Adda o Schio. Una città dormitorio, atomizzata, a bassa densità di relazioni e amputata di quel bene immateriale fondamentale che è la circolazione delle idee, fondamento filosofico della creatività e di un fare orientato alla bellezza. La perfezione di un fordismo dal volto umano ha trovato a Fabriano un importante ma triste snodo realizzativo. Oggi quel modello è tramontato di colpo dal punto di vista economico ma ha lasciato intatte le sue eredità culturali che necessitano di tempi lunghi per trasformarsi e uniformarsi al nuovo. E aveva mille ragioni l’Antonio Gramsci dei Quaderni dal Carcere quando scriveva “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. La nomina di Fabriano a città creativa – alla luce di tutto questo - restituisce esattamente la sensazione di qualcosa di morboso e non meditato, di scorciatoie consolatorie, di un thè nel deserto che tiene intatta la sabbia simulando il sopraggiungere di acqua e di oasi. Quel che viene tecnicamente definito un miraggio, ovvero nulla di più di un’illusione ottica.

    

17 commenti:

  1. a metà novembre vengono Prodi e Letta i "liquidatori Italia" tu Simonetti ci vai a sentirli ? perché parlare penso che non te lo permetteranno mai

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  2. Ottimo pezzo. Diciamo pure che il titolo è ampiamente meritato se, come immagino, l'Unesco avrà considerato le rivoluzione creative avvenute a Fabriano nel corso dei secoli: la lavorazione sopraffina del ferro e la tempra dei metalli, operazioni queste quasi alchemiche, la concia delle pelli fatta con lo scotano (altra invenzione tutta fabrianese) il miracolo del perfezionamento della carta, antica arte appresa dagli a arabi ma che a Fabriano è stata completamente innovata. Ebbene se il riconoscimento è stato dato sulla base di questo ok, altrimenti è una bufala. Forse gli ultimi creativi furono i rivoluzionari degli elettrodomestici, Aristide Merloni, Ermanno Casoli, Abramo Galassi e pochi altri. Per il resto tabula rasa, ha ragione Simonetti quando dice che questa negli ultimi 50 anni è stata una città dove i creativi sono stati istituzionalizzati, allora non erano veri creativi, o sono stati emarginati. Quel che più rattrista è constatare i pulpiti dai quali viene sventolata la paternità di questo riconoscimento; tutte persone la cui espressione massima di creatività è il barcamenarsi per tentare di sopravvivere fino al giorno dopo... politicamente intendo.

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    1. Verissimo e il dramma che questa crisi cancellerà del tutto le competenze che non verranno più tramandate.

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    2. è vero quello che dici, ma stiamo buttando via il bimbo insieme all'acqua sporca; in realtà, in città, su diversi fronti, di gente creativa, che cerca di sfondare la resistenza della città al "nuovo", ce n'è, e si muove in ambito artistico/culturale e persino in ambito artigianale (un po' meno).
      Tutto ciò, è sicuramente poco...ma poco, è più di niente...e mi piace più l'idea di qualcuno che non ci sta a vivere nel deserto.
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      G.R.

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    3. Ne sono convintissimo infatti spesso ho cercato di rimarcare il fatto che comunque a Fabriano ci sono persone che nel mondo dello spettacolo, della musica, dello sport hanno avuto riconoscimenti importanti a livello Nazionale. Ma certi nomi se non escono da certi ambienti frega una beata mazza.

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  3. Della serie il vecchio non muore mai e il nuovo è già vecchio. Prodi l'uomo delle privatizzazioni senza liberalizzazioni. E Letta l'uomo delle grandi manovre vuote. Tutto cambi per non cambiare nulla. Sorci no comment.

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  4. Mi auguro che i ragazzi dei centri sociali, ai quali se lo faranno mi unirò volentieri, organizzino una contromanifestazione. Basta con l'idea di una città perennemente alla pecorina!!!!!!!!!!

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  5. Souris Sorce Topo dovrebbe piangere per i danni che ha fatto alla città in due mandati, non per la nomina dell'UNESCO.

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    1. scherzi???...lui è convinto di aver fatto del gran bene...
      ____________
      G.R.

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    2. Beh finchè lo pensa solo lui, frega poco, il brutto è che altri lo pensano.

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    3. Penso che neanche Sagramola pensa più che Sorci abbia fatto del bene per la città, se non altro per tutte le patate bollenti che gli ha lasciato. C'è rimasto solo pocognoli a osannarlo.

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    4. E chi cazz'è ?

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  6. è inutile parlare scrivere siamo condannati

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  7. Poveri fabrianesi

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  8. Simonetti ti prego fa un Articolo su Guid* Borr* quello che sè ciulato 5200 euro e poi al signore glià detto: No guarda i Soldi io non ce lo(figlio adottivo di un grosso industriale della zona)! però se vuoi ti faccio altre 5200 euro de lezioni gratis e siamo apposto cosi! Rappresenta troppo l'italia =D

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  9. Soggetto indubitabilmente scaltro.....

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  10. Questo cià capito tutto! in Italia è cosi che funziona! ahahaha RIDEMO PER NON PIAGNE

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