13 maggio 2012

Il Califfo Al Sagram e la Crociata di Papa Urbano

La campagna elettorale di Urbani è cambiata repentinamente, come il tempo in questo fine settimana. Dopo un primo turno segnato da un ricalco, quasi maniacale, dei fasti del democristianesimo tisanato e del catering più pervasivo, Papa Urbano l’Ecumenico ha interrotto i lauti pasti e proclamato la Crociata, per liberare Fabriano dal califfato incombente e vagamente asiatico di Al Sagram. Fine delle bontà trasversali, delle opposizioni costruttive, delle benedizioni urbi et orbi, del “semo figli di Adamo ed Eva a condizione che me votate”, del voltiamo pagina tutti assieme, de tacco e de punta. Come d'incanto le pagine da voltare sono diventati fogli che bruciano, anatemi che rombano e dita puntate che impongono, perché nelle crociate l'impronta nodosa del grossolano subentra sempre alla vaghezza anemica del sottile. Ecco quindi i corteggiamenti cazzuti ma surreali al Cinque Stelle antisistema e alla sinistra classista; l’approccio da Fronte Popolare con gli sconfitti, in nome della comune lotta all'Obitorio Marche; il tentativo di accreditarsi come guida mosaica del popolo nomade degli anti Sagramola; i volantini protestatari e aitanti, con corde che si strappano e appelli accorati a un risveglio civico in forma di elettroshock. E poi i candidati azzurri che dilagano nei social network, che rintuzzano con zelo le pulsioni astensioniste, che chiamano a un "di qua o di là" come se si dovesse scegliere tra democrazia e comunismo e non tra due signori sostanzialmente indifferenziati; la pagina personale di Facebook del candidato - tirata a lucido senza più bambini che non nascono imparati, con tanto di rimembranze falconiane e viste sul centro storico a volo d'uccello - che tambureggia twittate secche e perentorie; l’attacco inatteso, e assai poco amletico, alle banche e a Equitalia; il saccheggio sistematico e orgoglioso degli altrui programmi come se il proprio fosse affetto da invecchiamento precoce. Un Urbani che si spoglia del maglioncino Minchionne Style e indossa mimetica e anfibi per scivolare repentinamente a destra, con una disinvoltura quanto meno sospetta, visto che la radicalizzazione politica è quanto di più estraneo alla sua personalità e alle sue convinzioni. Per anni ha rivendicato con orgoglio la propensione al centro, i pomiciamenti tiniani e ottavianei, il disprezzo per ogni nota che stonasse, in chiave estremista, rispetto alla sua ninnananna. La conversione improvvisa da Bianconiglio a Lupo Mannaro è un colpo di coda tardivo e ansiogeno, affidato a parole che non gli appartengono; parole che profumano di destra sociale, di un rigurgito missino che contrasta sideralmente con lo sforzo di rappresentarsi come uomo della società civile e tecnico neutrale rispetto al teatrino delle idee e degli schieramenti. Non ci si inventa gladiatori in una notte, perché chi ama i marmi del Senato non può appassionarsi alla sabbia del Colosseo senza spargere un forte profumo di finzione. Certo, Urbani ha diciassette punti da recuperare e una base di partenza minoritaria. Dire cose di destra gli serve a mobilitare una quota di elettorato apatico, a dargli un sacro fuoco da alimentare e un’illusione breve su cui investire. Ma è troppo tardi. perchè il più grande avversario di Urbani non è stato Sagramola ma Urbani stesso, col suo rifiuto di incarnare un’alternativa politica inclusiva e chiara e non soltanto un disegno di successo personale spinto al limite dell'eiaculazione precoce. Non è riuscito a coalizzare forze politiche che avrebbero potuto sostenerlo, perché il suo nome non era il frutto di una strategia politica ma l’incarnazione di un diktat indiscutibile e primordiale, vincolato al successo di un impossibile accordo con l'UDC e con Ottaviani. E alla fine non è riuscito a mobilitare nemmeno gli elettori, nonostante un monumentale dispendio di energie, impegno e denaro. E’ la solitudine dei numeri primi, il cruccio di chi si divide solo per se stesso, di chi pensa che tutti gli altri siano, per default, delle menti limitate che non possono comprendere certe grandezze. E per certi versi Urbani è stato l'espressione più compiuta della crisi della rappresentanza politica, ridotta - anche grazie a un sistema elettorale figlio della crisi del '92 - a gioco referendario, a lotteria personalizzata, a battaglia tra fisionomie, caratteri, temperamenti e modi di essere e di fare. Comunque vada, il centrodestra a Fabriano somiglia, ormai, a un villaggio fantasma battuto dalla polvere e dal vento, come in uno Spaghetti Western. Il Pdl è pelle e ossa, la Lega uno scheletro di cartongesso e la destra ex An è stata lessata in un brodo civico che l’ha consumata nella sua identità più profonda. Per ricostruire qualcosa serviranno nuovi barbari e nuove fantasie. Per ora abbiamo davanti un deserto che chiamiamo pace e di doman non c'è certezza.
    

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