9 giugno 2013

Il lavoro a Fabriano tra lampadine e coni d'ombra

Il cono d'ombra è sempre una minaccia incombente, quasi un destino genetico delle lotte sociali. Anzi, possiamo dire che il cono d'ombra rappresenta il rischio più grande che accompagna le battaglie per il lavoro e ne minaccia sistematicamente l'esito. E le giornate particolari che stiamo vivendo ne sono prova, testimonianza e palcoscenico. Il cono d'ombra non è altro che la bruma di silenzio che scende lentamente sulle vertenze e sui processi di ristrutturazione aziendale, l'assuefazione da notizia che si replica e si moltiplica - giorno dopo giorno - fino a perdere smalto e clamore, l'attesa rassegnata di una qualche soluzione che risolva quasi "magicamente" i problemi. Quando si annunciano tagli ed esuberi, di solito, si assiste a un vero scoppio mediatico, a una rincorsa radicale alla solidarietà plateale e dichiarata cui, via via, fa seguito un allentamento della presa che sconfina in un distacco crepuscolare. Ieri, tanto per dire, ho raccolto lo sfogo amaro di Enrico Morettini, delegato Fiom della Best sempre in prima linea, che ha voglia di mollare tutto perchè quella vertenza è finita nel cono d'ombra, dimenticata e privatizzata, ossia ridotta a questione che riguarda e coinvolge unicamente gli esuberi Best e le loro famiglie. Dal declino mediatico del caso Best è, quindi, opportuno trarre una lezione fondamentale - a cui ha fatto cenno in suo acuto commento postato stamattina l'architetto Giampaolo Ballelli - e cioè quanto sia essenziale poter contare, ogni giorno, su motivi ed elementi che possano garantire una continuità informativa e di comunicazione attorno alle questioni più rilevanti. Il silenzio e la bassa temperatura sono infatti il migliore alleato delle operazioni di ristrutturazione e di riorientamento strategico, perchè le imprese sanno bene che la loro immagine è parte integrante della competitività e che mettere la sordina al conflitto, all'azione sindacale, agli scioperi e alle forme di solidarietà e di consenso esterno espresse dai cosiddetti stakeholders, è cruciale per attuare scelte drammatiche senza dover sostenere il gravissimo effetto collaterale del danno di immagine. Con il senno di poi, che è l'unico senno possibile, abbiamo appreso che uno dei fattori determinanti della silenziosa implosione della Ardo è stato proprio il cono d'ombra in cui è essa è stata confinata e che quella vicenda avrebbe potuto prendere tutt'altra direzione se si fosse riusciti a imporgli un'altra luce e un'altra ribalta. Non replicare quell'errore è, quindi, un elemento fondamentale della guerra di posizione che si va combattendo. Ma c'è anche un altro aspetto che può dare forza ed energia al negoziato sindacale e istituzionale, e cioè la saldatura orizzontale delle vertenze. Attraverso di essa è possibile stimolare una consapevolezza unitaria e territoriale dei problemi del lavoro, perchè è un tragico difetto di prospettiva  isolare, innanzitutto nella percezione dell'opinione pubblica, i singoli casi aziendali, senza ricercarne e rimarcarne gli elementi di connessione, di relazione e di sovrapposizione. Ragion per cui ci si ritrova di fronte a un caso Best, a una vicenda Cotton Club, a un affaire Tecnowind: tutti scenari di crisi specifici ma isolati, autoreferenziali e soccombenti rispetto alla dimensione del caso Indesit - e alla sua natura di vetrina di imprenditoriale fabrianese - su cui si focalizzano tutte le attenzioni e tutte le tensioni. Perchè se un delegato sindacale della Best, notoriamente combattivo e solidale, molla l'osso vuol dire che le vertenze si stanno frantumando e separando dalla loro configurazione unitaria e ciò genera divisioni di cui sicuramente faranno tesoro strumento i tagliatori di teste e i delocalizzatori strategici. Può sembrare estremo e provocatorio ma il destino di questo territorio e dei lavoratori della Indesit è più legato all'unità delle vertenza e alla capacità di tenere accesa l'attenzione mediatica che non alla decisione finale sul numero degli esuberi previsti. Insomma, una lampadina al giorno lascia Indesit qui intorno.
    

5 commenti:

  1. La lampadina sarebbe un'azion eclatante al giorno?

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  2. chi rischia il posto, si sente stretto tra le ganasce di una morsa...da una parte l'obbligo morale di tentare il tutto per tutto per poter avere ancora un lavoro, un reddito...dall'altra, l'obbligo di non alzare troppa polvere per non farsi vedere; a scuola, quando era il momento dell'interrogazione, tutti a far gli indifferenti, con le mani fredde, come il sudore che imperlava le fronti dei meno preparati; se c'era da protestare, bisognava essere compatti, altrimenti chi alzava la cresta, era spacciato.
    nella valle metalmezzadra, questo è quello che si impara...non rompere troppo le scatole, altrimenti sei fuori.
    capisco i dipendenti indesit come ho capito quelli del'Ardo...ma tutto questo, è profondamente sbagliato; la dignità dei lavoratori non è più nemmeno una merce di scambio, ma solo un fastidioso foruncolo che a volte può spuntare sul naso dell'imprenditore di turno; però, con 3-4 giorni, passa tutto.
    l'architetto ha le sue ragioni, ma bisogna tenere conto della realtà attuale; un uomo usato come una pecora, non può improvvisarsi leone; parlo per esperienza personale recente...ho calpestato la mia dignità per non far perdere la speranza di un lavoro per i miei colleghi (io, se Dio vorrà, prenderò la mia strada il prima possibile); so benissimo che si deve tentare il tutto per tutto, come se non ci fosse un domani; e un domani, possiamo quasi scommetterci che non è certo quello che tutti, in fondo al cuore, auspichiamo; ci stanno portando via i beni più preziosi, la dignità e la speranza.
    Chi si "salverà" non dormirà sonni tranquilli, come chi verrà fatto fuori; non ci saranno vincitori, ma solo perdenti...chiunque, perderà qualcosa.
    La teoria, la conosco, ma quando è toccato a me, sono stato codardo ed ho messo la testa sul ceppo...ed ora spero che il boia sia clemente.
    penso che dovremmo dare una mano da fuori, agli operai...non per il loro diritto al lavoro, ma per aiutarli a preservare la dignità e la speranza.
    gli ammortizzatori sociali, sono solo un antidolorifico, non risolvono, anzi, possono persino aggravare il "malanno"; non devono essere visti come ancora di salvezza...nn lo sono...aiutano, certo, servono...anzi, sono indispensabili...ma il farci conto, è solo un modo per suicidarsi moralmente...e ve lo dice uno che negli ultimi 3 anni ha avuto la sfiga/"fortuna" di farsi 8 mesi di disoccupazione e gli ultimi 5 di cassa integrazione.

    Spero di essere stato chiaro...non rileggo per non cancellare.
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    G.R.

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  3. Manteniamo la luce accessa, sopratutto manteniamo i fari puntati sulle soluzioni che i politici proporranno per il dopo Tsunami.
    Ci risparmino l'ennesima presa per il culo tipo "Accordo di programma ARDO" che a livello elettorale ha ben funzionato ma se il risultato è che le uniche aziende locali che potevano sfruttarne appieno le opportunità stanno di fatto smantellando, allora vale la pena domandarsi "cui prodest?"
    Ricordo ancora la scena ad un convegno di artigiani (non ricordo la sigla) dove il burocrate regionale decantava le lodi dell'accordo di programma e alla fine si alza un imprenditore e gli dice più o meno: ma lei ha capito o gliel'hanno detto che oggi ha di fronte piccole o piccolissime aziende?

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    1. scommetterei qualcosa su "JP"...forse l'unica azienda che potrebbe approfittare dell'accordo di programma...
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      G.R.

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  4. Qua ormai siamo al si salvi chi può...l'attenzione sarà focalizata sulla Indesit e gli altri...si attacano

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